Iran, l'attivista stringe la mano all'avvocato: punita con il test di verginità

In Iran, Atena Farghadani, 29enne attivista e vignettista, condannata a 12 anni per le sue idee anticonformiste, è stata costretta a subire il test di verginità per aver stretto la mano al suo avvocato.  

Atena Farghadani, attivista e vignettista iraniana, già condannata per le sue idee, è stata sottoposta al test di verginità dopo aver stretto la mano al suo avvocato.


Come si muove, Atena Farghadani riceve un’accusa. L’ultima dall'Iran è di "condotta indecente" e "relazione sessuale inappropriata" per aver stretto la mano al suo avvocato. Un’affronto al pudore a cui le autorità iraniane hanno risposto costringendo la 29enne disegnatrice e attivista a un test di verginità e gravidanza nel carcere di Evin, a Teheran, in cui è rinchiusa da mesi. Perché, come si diceva, questa è solo l’ultima goccia di un vaso già pieno, troppo pieno di veleno.  

La notizia dell’ennesimo anatema risale a giugno ma Amnesty International ha potuto verificarla e notificarla al mondo solo l’11 di ottobre, grazie ai dettagli trapelati da una direttiva che risale a qualche giorno fa, emessa dal penitenziario che ordinava la visita ginecologica coatta nei confronti della giovane donna. Una giovane donna che a meno di 30 anni sconta il peso delle sue idee, espresse in un paese dove le donne sono invitate a tacere e dove, in ogni caso, l’opposizione al regime non è cosa gradita e punita in maniera esemplare. 

Amnesty International ha lanciato un appello per la liberazione di Atena Farghadani.


Ma Atena Farghadani è un osso duro e più volte ha dato prova della sua volontà nel contribuire a rendere l'Iran un paese più tollerante. Tanto più che, come sottolinea Amnesty International, di recente è stato lo stesso presidente Hassan Rohani a invocare il consolidamento d'uno stato di diritto. Tant'è: quello stesso Iran ha condannato Atena a 12 anni e 9 mesi per "oltraggio", per "attentato alla sicurezza nazionale" e "diffusione di propaganda a ostile alle istituzioni”: le sue idee anticonformiste e le sue vignette sugli esponenti del parlamento e la guida suprema in persona, ayatollah Alì Khamenei, non sono piaciuti e si sa che tra il dire e il fare - anche se arriva dal Presidente - c’è di mezzo il mare.

Risultato: anche se è evidente che Atena è "una prigioniera di coscienza", una donna che non ha compiuto "alcun vero reato" - come sottolinea l'appello di Amnesty alla sua liberazione - nessuno si è scandalizzato più di tanto quando è stata "ingiustamente punita solo per aver esercitato il suo diritto alla libertà di espressione e di associazione" e ogni suo tentativo di far emergere una verità alternativa è stato scoraggiato con la violenza. 

Era chiaro fin dall’inizio che le cose, per lei, non sarebbero state facili: i pasdaran della Guardia rivoluzionaria, custodi dell'anima più intransigente della rivoluzione khomeinista, si presentarono a casa sua nell'agosto 2014. La bendarono, volò qualche ceffone di troppo, l’appartamento fu perquisito, alcuni oggetti e beni furono confiscati e Atena fu trascinata in carcere. Rilasciata a novembre, affidò a YouTube un video in cui denunciava i maltrattamenti subiti in cella e gli interrogatori da nove ore al giorno: non passarono sei settimane che Atena si ritrovò dietro le sbarre, questa volta in isolamento, senza poter vedere il legale né i familiari. 

Liberata per un breve periodo, fece ritorno in carcere a gennaio: denunciò altre percosse, iniziò uno sciopero della fame di protesta, si ammalò e, infine, fu condannata. E siamo arrivati a giugno, quando, senza notare l'occhio vigile delle guardie, si permette di stringere la mano al suo avvocato, Mohammad Moghimi e si è ritrovata incastrata nell’ennesimo incubo. Quello che ha scatenato Amnesty International perché quando è troppo, è troppo.
 
Anche perché la vicenda ha dell’incredibile: all’avvocato Moghimi il gesto che per gli inquisitori è "al limite dell'adulterio" è costato 3 giorni di carcere e una cauzione di 60mila dollari, ad Atena un’umiliazione grande così e, ad entrambi, il rischio di un'ulteriore condanna

Per Amnesty, si è già perso troppo tempo: “l’opinione pubblica internazionale - si legge nell'appello - deve unirsi nel chiedere all'Iran che Atena Farghadani sia rilasciata e restituita alla famiglia. Perché lei non ha commesso alcun crimine". 

Copyright foto: Fotolia/Twitter@Amnesty International
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