Il "metodo Ease" per uscire dalla spirale della solitudine

Stephanie e John Cacioppo, ricercatori della Chicago University, hanno codificato come a livello celebrale, la solitudine sia in grado di amplificare le "minacce sociali". Una deriva che si combatte con il "metodo Ease". 

Stephanie e John Cacioppo hanno identificato la spirale della solitudine a livello cerebrale ed elaborato il "metodo Ease" per uscirne.


Come tutte le spirali anche quella della solitudine risucchia le menti amplificando il malessere. Chi si sente solo finisce per isolarsi sempre di più, barricandosi dietro e dentro all’angoscia della minaccia del rifiuto di amici e sconosciuti. Una deriva a cui Stephanie e John Cacioppo, ricercatori della Chicago University e marito e moglie nella vita, hanno prima dato uno schema e poi codificato una soluzione, il cosiddetto "metodo Ease".

Quattro comportamenti tanto scontati per chi ha una vita sociale, quanto difficili da mettere in pratica per chi si è arrotolato in se stesso. Il primo è accettare gli inviti perché, spiegano i Cacioppo, “non puoi sintonizzarti con nessuno se ti isoli, lo stesso discorso vale per le relazioni virtuali dove in molti presentano identità diverse da quelle reali”. Il secondo è armarsi di carta e penna (ammessi anche tablet e smartphone) e crearsi un calendario sociale: “la semplice sensazione di non essere una vittima passiva, di avere un certo controllo e la possibilità di cambiare la propria situazione, modificando abitudini, aspettative e comportamenti nei confronti degli altri può avere un effetto sorprendente”, assicura il dottor Cacioppo. A seguire gli esperti raccomandano di frequentare persone con con gli stessi interessi perché “la differenza la fa la qualità delle relazioni sociali, non la quantità” e, in generale, provare ad aspettarsi il meglio da ogni interazione.

Semplici step che aiutano il cervello a resettarsi perché, come hanno dimostrato gli studi di Stephanie e John Cacioppo "le menti solitarie sono iper-vigili alle minacce sociali”. Tradotto: i solitari (non per scelta) vedono allarmi anche dove non ci sono. I ricercatori hanno scoperto che, di fronte a segnali sociali negativi, l'attività elettrica nel cervello delle persone sole è decisamente più veloce e più pronunciata. Ma non solo: la solitudine induce le sue vittime a cercare al di fuori conferme sulla negatività delle situazioni. 

Tirando le fila, Stephanie e John Cacioppo sottolineano l’importanza per le persone che si sentono sole di essere a conoscenza che i loro cervelli li rendono più attenti alle minacce: una deriva che va contrastata prendendo il controllo della propria vita sociale, per uscire dalla spirale e tornare a vedere i colori del mondo. 

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