Filippine, si ribalta un traghetto con 189 persone a bordo: i morti sono almeno 36

Filippine, il traghetto salpato da Ormoc e diretto all'isola di Camotes, che trasportava 189 persone, si è ribaltato, a causa del maltempo, nei pressi dell'isola di Leyte. I morti sono almeno 36. 

Il traghetto che trasportava 189 persone si è ribaltato a causa del maltempo: i morti sono almeno 36.


Nelle Filippine il meteo è un dio crudele. Il 2 luglio si è scatenato sopra il cielo dell'isola di Leyte, nel centro del Paese, proprio mentre passava il traghetto che trasportava 189 persone (173 passeggeri e 16 membri dell’equipaggio), quello salpato da Ormoc e diretto all'isola di Camotes: 36 passeggeri sono morti, 118 i salvati, tutti gli altri mancano all’appello. 

È una terra difficile da abitare, quella delle Filippine sparpagliate nel mare: poco più di settemila isole, appena quattrocento più grandi di un chilometro quadrato. Una terra flagellata dai monsoni che ogni anno si portano via centinaia, a volte anche migliaia di vite. Ma una terra che non si può che amare: tempestata da ottomilacinquecento specie di fiori, duemila di pesci, mille di felci, altrettante di orchidee e cinquecento di uccelli. La natura, ancora così vergine da mozzare il fiato, richiama le farfalle dall’Himalaya, per terra sgattaiolano il topo cervo, il topo ragno e il topo nuvola.  

Prima di quel 16 marzo 1521 quando Magellano le scoprì e le chiamò isole di San Lazzaro nessuno sapeva bene che cosa fossero. Dei trentamila anni precedenti rimane un pugno di canti: i talindeo dei barcaioli, i kumintang guerreschi e i kundinam d'amore. E poi formule magiche e incantesimi recitati durante la semina e il raccolto e una ventina di canti epici di varie popolazioni. Punto. Eppure i filippini sono dei fiori esotici più unici che rari. Sono un'alchimia di malesi, polinesiani, cinesi, indiani, europei e americani, musulmani e cristiani. Parlano tagalog, cebuano, ilocano, hiligaynon e bicolano e se il tagalog è stato considerato il filippino è solo perché è la lingua della capitale. Mica perché tutti lo conoscono. Perfino il cibo è senza passato. Poche ricette, senza spezie e senza sale.  

Agli angoli delle strade delle città - lontano dai grattacieli e dal lusso, che pur c’è - vecchie signore friggono banane e vendono candele, infradito, ventagli, cappelli di paglia, torte verdi e blu cucinate sul posto con ingredienti marziani. Gli uomini duplicano le chiavi e riparano i ventilatori, i cellulari, i calcolatori, gli orologi, i mobili con legni di cocco e di bambù. Tutti parlottano e sciabattano, alcuni urlano, altri chiedono l’elemosina

La foto del bambino filippino postata da Joyce Gilos Torrefranca ha fatto il giro del mondo.


Come la mamma di quel bambino che, per ingannare l’attesa e costruirsi un futuro migliore, si accovaccia a bordo strada e si mette a fare i compiti su un banco improvvisato, illuminato dalla luce di un lampione. Joyce Gilos Torrefranca, una ragazza che passa di lì, gli scatta una foto, la posta su Facebook e scrive "Sono stata ispirata da un bambino”. In poche ore l’immagine rimbalza da una bacheca all’altra, da un continente all’altro diventando l’icona di un paese che non smette mai di credere nel domani, nonostante tutto, una pioggia dopo l’altra, una tragedia dopo l’altra. 

Copyright foto: YouTube/Facebook@Joyce Gilos Torrefranca
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