Daniela Poggiali, descritta come l'infermiera killer, si difende: "Non sono un mostro"

Daniela Poggiali, conosciuta come l'infermiera killer dell'Ospedale di Lugo, si difende in una lettera inviata all'Ansa: "Non sono un mostro". Quelle foto "un errore". Detenuta nel carcere di Forlì dal 9 ottobre scorso, il 23 maggio il Tribunale del Riesame ha respinto la sua istanza di scarcerazione. 

Daniela Poggiali è rinchiusa nel carcere di Forlì dal 9 ottobre 2014 per la morte di un'anziana paziente.


Daniela Poggiali prova a raccontare un’altra Daniela Poggiali. Lo fa con una lettera spedita all’Ansa: due facciate scritte a mano, dal carcere di Forlì dove è rinchiusa dal 9 ottobre 2014 per l’omicidio di un’anziana paziente, indagata per vilipendio di cadavere e sospettata dalla procura di essere la responsabile di altri decessi avvenuti nelle corsie dell’Ospedale Umberto I di Lugo dove la 42enne lavorava. Delitti che, secondo gli inquirenti, la Poggiali avrebbe commesso iniettando cloruro di potassio nelle vene degli anziani, una sostanza tanto letale quanto invisibile all’autopsia.

Non merito tutto questo”, esordisce. “Ma sono fiduciosa nella giustizia”, ci tiene a precisare la donna che oggi, in carcere, distribuisce i pasti agli altri detenuti. Il 23 maggio scorso il Tribunale del Riesame ha respinto la sua istanza di scarcerazione con 25 pagine che la descrivono come una “dispensatrice di morte”, “pericolo pubblico” e che citano i risultati della consulenza statistica dell’Istituto di medicina legale di Verona che “depongono per un’opera sistematica di eliminazione di ricoverati”. Ottantasette, in tutto. 

Daniela Poggiali ci prova, si racconta: "La vita di una persona normale viene stravolta all'improvviso da un'indagine giudiziaria fatta di perquisizioni in casa; sequestro di effetti personali fino ad arrivare dopo qualche mese all'esito finale e più crudele: la carcerazione (…) Se mi fossi mai chiesta come ci si sente in carcere, ora ho la risposta: ci si sente da schifo. Se non fosse un dramma vissuto in prima persona potrebbe risultare quasi 'divertente'... quasi una novella di Boccaccio". Daniela Poggiali se la prende con i media: "Il tutto condito da un eccessivo interesse mediatico che porta a distruggere rapidamente la propria immagine e reputazione. Sei stata già etichettata come “l’infermiera killer” dallo sguardo gelido e il sorriso beffardo”. 

Daniela Poggiali ci prova, a smontare quei sorrisi: "Tutti si sono meravigliati perché il giorno della conferma del mio arresto avessi quel sorriso all'uscita dall'aula. Nessuno però in televisione ha fatto vedere che quel sorriso era rivolto al mio compagno. Nessuno ha capito che dietro quel sorriso non c'è altro che disagio e sofferenza". Luigi Conficconi, il fidanzato più volte citato nella lettera nelle vesti della persona che più la sostiene oltre ai familiari, alle altre detenute e a "quei pochi amici rimasti tra i tanti che spariscono”, non ha mai smesso di starle accanto. In questi mesi ha rilasciato interviste, versato lacrime e smontato un’accusa dopo l’altra, descrivendola come una “gran lavoratrice”, rifiutando l’immagine della sua Daniela dipinta come “l’angelo della morte” che “ha già pagato un prezzo troppo caro per due foto”.

Daniela Poggiali ci prova, a rinnegare quelle foto, “due immagini che agli occhi dell'opinione pubblica mi hanno fatto diventare un “mostro senza pietà”" scrive nella lettera. Foto di cui lei stessa, oggi, si pente in un’intervista rilasciata al Corriere per bocca del suo avvocato, Stefano Dalla Valle. “Lì ho sbagliato e lo riconosco. Devo però dire un paio cose. L’iniziativa non è stata mia ma della mia collega che le ha scattate. E poi mai avrei immaginato che girassero. Era una cosa privata fra me e lei. Comunque, un errore”.

Al Corriere racconta anche lo sconforto quando ha capito che i suoi colleghi le hanno voltato le spalle: “Mi è caduto il mondo addosso quando ho letto queste dichiarazioni perché fino al giorno prima loro stesse dicevano il contrario. Hanno cominciato a parlar male di me dopo che è scoppiato il caso. Penso che si tratti di risposte condizionate dagli eventi. Se non fossi stata indagata avrebbero detto il contrario. Io posso avere dei modi un po’ bruschi e spicci, a volte, ma non faccio mai del male”. 

Daniela Poggiali, infine, ci prova a spiegare quelle morti sospette: “Non me lo spiego - racconta al Corriere - ma bisogna considerare alcune cose: che io lavoravo molto e quindi ero molto presente, facevo molte notti, anche perché il mio lavoro non mi dispiace e se qualcuno mi chiedeva una sostituzione io non mi tiravo indietro. Comunque sia, io non ho ucciso nessuno. Anzi, ho sempre vissuto per aiutare gli altri e i pazienti in modo particolare. Non c’è cosa più distante da me di un assassinio. Non riesco ad accettare tutto quello che sta succedendo. Voglio uscire da qui e a testa alta”. Il 16 ottobre il processo sarà aperto davanti alla Corte d'Assise. 

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