Assange resterà (recluso) in ambasciata: la Corte svedese ha respinto l'appello
Julian Assange: la Corte Suprema svedese ha respinto l'appello del fondatore di WikiLeaks che chiedeva di annullare il mandato d'arresto dopo l'accusa di molestie sessuali e stupro. Il giornalista australiano vive da tre anni da recluso nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra.
Julian Assange ha perso di nuovo: la Corte Suprema svedese ha respinto l'appello con cui il fondatore di WikiLeaks chiedeva di annullare il mandato d'arresto emesso nei suoi confronti nel 2010 per stupro e aggressione sessuale ai danni di due donne. Accuse che il 43enne ha sempre respinto, convinto che, in realtà, siano una montatura per estradarlo negli Stati Uniti dove è accusato di spionaggio dopo aver svelato al mondo migliaia di documenti diplomatici top secret. Accuse - quella per stupro e molestie - che Assange, dopo aver sgretolato un sistema e fatto tremare capi di stato, non riesce a smontare. Il suo avvocato, Per Samuelson, ha commentato la decisione svedese con sconcerto, “deluso e critico per il modo in cui la Corte Suprema ha gestito il caso”, dal momento che, secondo il suo punto di vista “questa decisione è stata presa senza averci permesso di chiudere le nostre argomentazioni”.
Tant’è. Il braccio di ferro punta a stremare l'ex hacker e giornalista australiano che ormai da quasi tre anni vive come un recluso, nella piccola stanza che l'ambasciata dell'Ecuador a Londra gli ha assegnato mettendolo al riparo dall’estradizione in Svezia. Una stanza senza finestre, una vita senza la luce del sole, senza movimento - a parte quello che può fare su un tapis roulant, al chiuso -, senza aria fresca da respirare, solo quella del condizionatore. E una caterva di conseguenze fisiche, anzitutto: aritmie cardiache, innalzamento della pressione arteriosa, danni a un polmone; senza contare che gli integratori non bastano a compensare la carenza di vitamina D e lui rischia patologie come diabete, osteoporosi e demenza. Insomma, una vita da condannato, in una gabbia, senza nemmeno l’ora d’aria da cui, però, Assange resiste, continuando a gestire il sito, a rispondere al telefono, a cinguettare su twitter. A raccogliere la solidarietà e l'appoggio di mezzo mondo, tra cui anche quella di Amal Alamuddin.
Lo scorso agosto sembrava sul punto di cedere: “È un ambiente in cui qualsiasi persona di buona salute avrebbe prima o poi delle difficoltà” aveva risposto ai giornalisti preoccupati sulla sua salute. Ma alla fine non è successo nulla nemmeno quella volta: Scotland Yard continua a spendere fior fior di sterline (circa 10 mila al giorno, circa 14mila euro) per sorvegliarlo giorno e notte. Contributi che arrivano dalle tasche dei cittadini, un po’ stufi di questo testa a testa che ormai ha superato i nove zeri. "È imbarazzante - aveva commentato in merito, Kristinn Hrafnsson, portavoce di WikiLeaks, lo scorso agosto - vedere il governo britannico spendere più per la sorveglianza e la detenzione di un rifugiato politico non incriminato che per le sue indagini sulla guerra in Iraq, che ha ucciso centinaia di migliaia di persone”.
Per chi se lo fosse dimenticato, la vicenda è più ingarbugliata di un nodo di Gordio. Ma qui, non essendoci un Alessandro Magno deciso a tagliarlo in due con la spada, toccherà scioglierlo. Le accuse risalgono ai fatti avvenuti l’11 agosto 2010 quando Julian Assange andò in Svezia, invitato a una conferenza organizzata da un’attivista dei socialdemocratici svedesi, chiamata dalla stampa e dalle carte dell’inchiesta della polizia svedese “signorina A”. Assange fu ospitato a casa della donna e, secondo l’accusa, la notte dopo la conferenza, i due finirono a letto.
Il rapporto iniziò consenziente, poi però - stando alla versione della “signorina A” - il preservativo si ruppe e lui la costrinse, con il suo peso, a finire l’amplesso. Pochi giorni dopo, entra in gioco anche la “signorina W”, un’amica della “signorina A” che si scatena contro il giornalista accusandolo di stupro. Morale: Assange, che in Svezia ci era andato per chiedere un permesso di soggiorno, probabilmente per creare una sede di WikiLeaks nel paese, si ritrovò a fare i conti con un mandato di arresto con due separati capi d’accusa, sulla base delle denunce di A e W, uno per molestie sessuali e uno per stupro. Denunce che caddero e permisero ad Assange di tornare a Londra. Ma il primo settembre 2010 Marianne Ny, un membro di più alto grado, a capo del dipartimento sui crimini sessuali, decise di riaprire le indagini.
Il resto della vicenda è un rimbalzo di carte e bolli tra magistrature, ambasciate e diplomazie che più di mille giorni dopo quella notte d’estate ancora tengono sotto scacco un uomo che, a sua volta, ha tenuto sotto scacco le stanze del potere di mezzo mondo. un uomo che vuole Stoccolma, Londra e Washington. Un uomo che non ha nessuna intenzione di fermarsi, capace di dare del filo da torcere per difendere la sua verità. Anche a se stesso.
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