Tassista violentata, Simone Borgese confessa: "È stato un raptus, volevo prendere l'autobus"

Tassista violentata, l'aggressore ha confessato nella notte: "È stato un raptus, volevo prendere l'autobus". L'uomo si chiama Simone Borgese, ha trent'anni, è separato, ha una figlia di sette e fa il cameriere a chiamata. A portare gli inquirenti sulle sue tracce il suo cellulare.

Simone Borgese, 30 anni, venerdì 8 maggio ha violentato una tassista 43enne nella zona romana di Ponte Galeria.


Non so cosa mi sia preso. È stato un raptus” ha confessato nella notte Simone Borgese, il 30enne che in meno di quarantott’ore ha distrutto tre vite. Quella della tassista 43enne che ha violentato all’alba di venerdì 8 maggio, quella della figlia di 7 anni che gli scriveva “Papà, ti voglio bene perché sei buffo. Simpatico. Dormiglione”. E la sua

"Stavo aspettando l'autobus che non arrivava - ha confessato l'uomo, come riporta Il Messaggero -. Era un pezzo che stavo lì. Ho visto quel taxi e l'ho fermato. Volevo tornare a casa. Quando siamo arrivati, ho fatto un balzo in avanti con la scusa di controllare il tassametro. Non so cosa mi sia preso. È stato un raptus. Non riesco a spiegarmi quello che ho fatto. Non avevo minimamente immaginato che potesse finire così. Quando siamo quasi arrivati a casa mia - continua Borgese nella sua confessione fiume - ho detto alla donna di girare per un'altra strada, sapevo che lì c'era un viottolo sterrato. Con la scusa di guardare il tassametro, mi sono sporto in avanti, l'ho colpita, ho scavalcato il sedile e l'ho costretta a un rapporto orale. Poi ho preso i soldi e sono scappato".

A tradirlo e a portare gli inquirenti sulle sue tracce è stata la sua attitudine ad approfittare della fiducia degli altri: identikit alla mano, un altro tassista ha riconosciuto l’uomo che qualche giorno prima aveva accompagnato a casa, nella stessa zona di Ponte Galeria, e che invece dei soldi, a fine corsa gli aveva dato un numero di cellulare, a pegno dell’intenzione di voler saldare il conto, una volta che i soldi li avrebbe avuti. Un numero che gli inquirenti hanno usato per risalire all'identità di Borgese, sottoporre una foto alla vittima e poi, una volta riconosciuto, andare ad arrestarlo. 

I dubbi, ancora prima della confessione, si sono sciolti quando a casa dell’uomo la Polizia ha trovato la camicia di jeans, i pantaloni scuri e le scarpe da ginnastica scure che la tassista aveva descritto al momento dell’identikit. 

Una donna coraggiosa, che venerdì mattina, poco dopo le 7, ha caricato Borgese sul suo taxi in via Aurelia vicino all’hotel Ergife. Non si è spazientita di fronte alle richieste di cambiare più volte direzione fino a quando si è ritrovata da sola con lui, in una stradina sterrata, nell’isolata Piana del Sole. Dopo il pugno in faccia, la violenza e il furto, la donna ha avuto la forza di denunciarlo, la fermezza di descriverlo nei dettagli (la somiglianza con l'identikit è impressionante), così da riuscire a scatenare una vera e propria caccia all’uomo: elicotteri, cani, pattuglie, tam tam sui social.    

Anche se il trentenne, separato dalla sua compagna, che si manteneva facendo il cameriere a chiamatasu Facebook (il suo profilo è stato oscurato dopo il fiume d'insulti) si dipinge senza macchia, con una vita normale, con una figlia di cui va fiero, un cagnolino, tanti amici, e perfino una partecipazione ad Avanti un altro, nel 2012 di Paolo Bonolis, Simone Borgese, alle spalle, ha qualche precedente per furto. Ora dovrà rispondere del suo raptus di venerdì scorso di fronte alla legge, poi verrà il tempo per la coscienza e quello più difficile, per la famiglia. Per quella figlia che lo vede come un uomo "buffo, simpatico e dormiglione".

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