Valeria Collina, la madre italiana del terrorista Youssef
In un'intervista a L'Espresso, Valeria Collina, la madre del terrorista italo-marocchino Youssef Zaghba racconta la radicalizzazione di suo figlio e promette: "voglio insegnare il vero Islam alle persone".
Si chiama Valeria Collina, è una signora di 68 anni e dalla mattina del 6 giugno vive barricata nella sua casa di via Fabbri 47 di Castelletto di Serravalle, a Fagnano. E nei suoi ricordi e rimorsi e domande perché “quando i figli sbagliano i genitori si danno sempre qualche colpa”. Suo figlio è Youssef Zaghba, uno dei tre terroristi dell’attentato al London Bridge uccisi dalla polizia. Lei, cattolica di nascita e musulmana per scelta da 26 anni, madre distrutta e donna sgomenta, confessa a L’Espresso che “io ce l’ho messa tutta e penso che lui sia stato logorato all’interno”.
Nato 22 anni fa a Fes in Marocco, Youssef Zaghba aveva la doppia cittadinanza e molta inquietudine nel cuore. Iscritto alla facoltà d’informatica marocchina, il giovane Youssef, però, sognava la Siria, che, ripeteva, era “un luogo dove vivere un islam puro”. Ecco perché la mamma era felice quando lui le aveva comunicato che si sarebbe trasferito a Londra. Sperava che mettesse la testa a posto, che trovasse una moglie e mettesse su famiglia. E invece.
E invece ora Valeria riavvolge il nastro del tempo e pensa e ripensa a quell’ultima telefonata, venerdì scorso che “con il senno del poi mi rendo conto che quella era una telefonata d’addio. Pur non avendomi detto nulla di particolare lo sentivo dalla sua voce”. Perché dai discorsi divertiti sull’accoglienza che lui le stava preparando per il suo viaggio a Londra dove lei aveva intenzione di festeggiare la fine del Ramadan, nulla lasciava insospettire. E invece.
E invece qualche sospetto ce l’aveva, da prima, a dire il vero: “Abbiamo sempre controllato le amicizie e verificato che non si affidasse a persone sbagliate - spiega la madre -. Ma aveva Internet ed è da lì che arriva tutto. Né in Italia né in Marocco, dove studiava informatica all’università di Fes, si era mai lasciato trascinare da qualcuno”.
Quando poi, suo marito Mohammed - un uomo violento che l’ha picchiata per anni ed è rimasto a vivere in Marocco - l’ha avvertita che lui non si faceva trovare, lei si è preoccupata, ha mobilitato gli amici e confidato alle sue amiche musulmane “è irrequieto, sono molto preoccupata per lui”. La prima, timida, conferma ai suoi timori è arrivata lunedì, quando ha visto i volti dei primi due terroristi identificati, due amici di Youssef. Per tutto il giorno si è convinta che suo figlio non facesse parte del trio, finché, martedì, è arrivata la certezza.
Oggi, mentre giura che farà di tutto “perché non accada più”, decisa a “Insegnare il vero islam alle persone”, non esita ad ammettere che “capisco e condivido la scelta degli imam che non vogliono celebrare il suo funerale perché è necessario dare un forte segnale politico e un messaggio ai famigliari delle vittime e ai non musulmani”. Ora che suo figlio non c’è più, lo deve all’altra figlia, una ragazza più grande che Youssef riprendeva perché vestita all’occidentale. Con il senno di poi, un altro segnale sottovalutato.
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