Donne e sport: la dieta e l'allenamento da seguire
Attività fisica o sport per le giovani donne? Dove finiscono i benefici e dove iniziano i problemi? Come allenarsi e come mangiare a seconda dell’età?
Spesso ci si interroga su questi temi: lo sport fa bene o fa male, agonismo sì o agonismo no, l’allenamento come parte formativa di una giovane donna o quale regime alimentare individuare a seconda dell’età e dello stile di vita. Risponde al Magazine delle Donne l’osteopata Mario Craviotto.
Sport e attività fisica sono la stessa cosa?
"Questo è un errore dettato dall’approssimazione. È fondamentale distinguere tra sport e attività fisica perché hanno due finalità diverse e distinte. Lo sport può fare bene alla salute ma il suo scopo è la competizione. L’attività fisica ha per obiettivo il benessere e la salute, senza pretese di agonismo o di risultati. Quindi, quando mi chiedono “che sport posso fare?”, correggo le miei pazienti con “quale ginnastica posso fare?”. Perché ai fini della salute è fondamentale un movimento umano razionale e finalizzato che non necessariamente e quasi mai (per via dell'impegno che l’attività agonistica richiede) coincide con la pratica di un determinato sport. Il movimento razionale finalizzato prevede l'intensità, la tecnica, la tipologia e la gradualità degli esercizi da svolgere. C’è una scientificità alla base che determina un determinato movimento utile alla buona funzionalità e benessere del corpo".
Quindi no allo sport agonistico?
"No, assolutamente. Ma credo sia importante individuare delle fasi che fanno parte dello sviluppo di un individuo e, in questo caso di una bambina, ragazza e donna. Quindi una prima fase, dall’infanzia alla pubertà e in cui si devono sviluppare le qualità di base, quindi l’equilibrio, la coordinazione, la corretta respirazione. È importante che in questa fase la bambina percepisca e viva il movimento fisico come gioco e divertimento perché l’obiettivo deve essere la sua salute psico-fisica globale senza interferenze stressanti su corpo e mente nel corso della sua crescita personale. Mi trovo spesso di fronte a bambine, di nove o dieci anni, che devono sostenere allenamenti sette giorni su sette di sei o sette ore quotidiane. Questo perché la loro disciplina sportiva prevede la competitività ai massimi livelli (mondiali, olimpiadi) attorno ai tredici o quattordici anni. Il corpo è in piena crescita e sottoporlo ad allenamenti di questo tipo non può che gettare le basi per problematiche che nel giro di poco tempo affioreranno: colonna vertebrale, articolazioni, legamenti, tendini. Credo che l’attività sportiva di tipo agonistico andrebbe inserita nella seconda fase, l’età che va dall’adolescenza all’età adulta, con un maggiore impegno sia fisico che psicologico. Da donne adulte, invece, è più probabile e salutare tornare ad un impegno fisico razionale finalizzato alla solo mantenimento e miglioramento della salute".
Succede però che negli anni universitari molte giovani abbandonino lo sport. Cosa ne pensa?
"Questo è il disastro culturale italiano rispetto a quanto succede all’estero. C’è una dicotomia netta tra lo studioso e lo sportivo e purtroppo lo vediamo anche tra i professionisti: da un lato atleti che non hanno studiato e rifuggono da qualsiasi nozione culturale, dall’altro topi di biblioteca e scienziati che però non hanno mai tirato un calcio al pallone. Questo dualismo mente e corpo è completamente sbagliato, ce lo insegnano gli anglosassoni che danno grande rilievo all’attività fisica in abbinamento agli studi accademici. Corpo e mente vanno insieme, e dove uno è stimolato anche l’altro è maggiormente reattivo. Ma è questione di educazione e di un percorso culturale che prima o poi in Italia dovremo affrontare".
Quali sono le specificità che riguardano la donna e l’allenamento?
"Innanzitutto va detto che, in particolare per quanto riguarda la giovane donna, ci sono alcuni tabù da sfatare: in primis il fatto che una donna non debba fare sport durante il periodo mestruale. Non è così, ovvio, bisognerà tenere in conto il fatto che in quei giorni non sarà al massimo della sua prestanza fisica e da questo punto di vista va considerato anche un tipo di alimentazione diverso.
Poi, la gravidanza? Una donna incinta può fare sport? Fino a che punto? Qui torno sul discorso “attività fisica vs sport”. Dipende dalla disciplina sportiva, dipende dal tipo di attività: un movimento razionale finalizzato che tenga in considerazione lo stato di attesa della donna può giovare, mentre uno sport che comporta allenamenti troppo intensi o movimenti a rimbalzo o che possono condizionare negativamente la crescita del feto o del bambino, è evidente che non vanno bene come, ad esempio la corsa, la bicicletta (per via dell’ingombro dell’addome che porta alla compressione), l’equitazione… Ci vuole sempre buon senso. Inoltre va detto che lo sforzo eccessivo può creare acidosi e quindi abbassare il PH, rendendo più probabile la possibilità di incorrere in qualche tipo di trauma. Quindi è bene scegliere attività più dolci. Infine, una donna incinta deve finalizzare buona parte delle sue energia alla crescita del bambino.
Un altro mito da sfatare è la leggenda metropolitana che circonda gli addominali: molto spesso gli esercizi che si svolgono per rinforzare gli addominali sovraccaricano la colonna vertebrale soprattutto sul tratto lombare e un trofismo muscolare può comportare una parete addominale eccessivamente tonica, causa di problemi di mobilità a organi interni e visceri".
Quale è l’interazione tra l’allenamento e il tipo di dieta associata nella vita di tutti i giorni?
"La dieta intesa come regime alimentare quotidiano e non dimagrante deve essere adeguata all’età, alla situazione di salute specifica della persona e finalizzata al suo stile di vita. Una donna nelle sue diverse fasi di sviluppo ha esigenze caloriche diverse. In assoluto oggi assistiamo ad una dieta tendenzialmente sbilanciata specialmente nelle giovani, abituate ad assumere in dosi eccessive grassi saturi che non vengono adeguatamente metabolizzati dall’organismo. Le ragazze in sovrappeso sono sotto agli occhi di tutti. È un errore della nostra società: mangiamo molto di più di quello che consumiamo. Il secondo errore che si compie, è mangiare alimenti morti: surgelati o pieni di conservanti, che non si deteriorano nel tempo. Di conseguenza noi ci stiamo imbalsamando: non assumiamo alimenti in grado di fornirci l’energia e l’elasticità muscolare di cui necessitiamo. Il corpo umano richiede alimenti vivi perché ha bisogno di un ricambio muscolare attraverso la dissipazione e bisogna tenerne conto".