Violenza sugli uomini: quando a difenderli sono le donne

In India una lobby di donne difende gli uomini vittima di violenza che la legge ignora: "una società che non sa difendere gli uomini non saprà neppure difendere le donne".

Le donne indiane dell'MRA difendono gli uomini vittima di violenza ignorati dalla legge.


A difendere gli uomini vittima di violenza sono, molto più spesso di quanto si creda, le donne. Succede in India, per esempio, dove c’è un gruppo di attiviste che lavora senza sosta sugli uomini vittima di stupro. Lasciati soli molto più delle donne perché “quando una donna subisce violenza, la legge indiana è attrezzata per fare giustizia: punire il colpevole, aiutare la vittima offrendole un sostegno concreto. Quando la vittima è un uomo, però, non esiste un sistema di supporto”.

Negli Stati Uniti le donne che lottano per i diritti degli uomini sono piccoli gruppi su internet. In India c’è una vera e propria lobby, invece: si occupa di far pressione sui legislatori, organizza incontri e manifestazioni, offre servizi dall’assistenza legale alle linee telefoniche di ascolto aperte 24 ore su 24 per evitare che uomini in difficoltà arrivino a togliersi la vita. La Mra (associazione dei diritti degli uomini), insomma, si muove come un movimento politico.

Violenza sugli uomini: le discriminazioni della legge

La differenza, spiegano all’Mra, è sostanziale. I paesi occidentali hanno costruito leggi contro la discriminazione che prescindono dal sesso, e sono applicabili tanto agli uomini quanto alle donne. In India invece materie come violenza domestica e molestie sessuali sul luogo di lavoro sono scritte esclusivamente per le donne. La legge naturalmente è figlia della cultura in cui nasce: è talmente alto il pudore di fronte all’idea di una violenza sessuale imposta a un uomo che si preferisce vivere facendo finta che il problema non esista. Un meccanismo di rimozione che tutti applichiamo senza quasi accorgercene nella nostra vita di relazione quotidiana. Che però, applicato alla legge fa un po’ impressione.

L’Mra in India è famoso per una pattuglia di attiviste di primo piano: tutte donne, lavorano con l’intento di sgretolare pregiudizi vecchi di millenni. La stessa condizione della donna nella società indiana ne è prigioniera: ci sono molte divinità femminili, la donna è simbolo di purezza. Eppure gli stupri e gli abusi – soprattutto in casa – sono in aumento costante. Nel 2013 sono stati segnalati più di 300mila casi (il 26% più dell'anno precedente), molti dei quali classificati alla voce “torture da marito e parenti”.

Violenza sugli uomini: i dati

Kavita Krishnan, segretario dell'Associazione delle donne progressiste in India, è una delle femministe più in vista nel Paese. Secondo lei la realtà supera abbondantemente le statistiche (in peggio). “I numeri su questo tipo di crimine – spiega – sono quasi sempre sottostimati. In India ci sono moltissimi casi di coercizione patriarcale e violenza famigliare che non entrano mai nelle statistiche”.

È proprio una società così tanto patriarcale – e così tanto orientata, ancora, alla indiscutibilità della guida maschile – che diventa difficilissimo costruire percorsi di prevenzione e di assistenza per la violenza (sessuale o meno) sugli uomini. Prendere in carico il problema, insomma, significa certificare una debolezza che gli uomini non sono affatto pronti ad ammettere. Figuriamoci poi se si tratta di discuterne e di trovare rimedi.

Violenza sugli uomini: quando di mezzo c'è la dote

Ancora peggio va quando la difesa dei diritti degli uomini si incrocia con quella delle donne. Paradossalmente è stata una legge che difende le indiane a scatenare la battaglia per i diritti degli indiani. Si tratta della sezione 498A del codice penale: punisce chi fa violenza su una donna per il pagamento della dote. La tradizione indiana prevede che la famiglia della sposa paghi lo sposo per il matrimonio: per quanto la dote sia stata proibita ufficialmente nel 1961, la tradizione è più viva che mai.

Il problema è che la polizia può arrestare immediatamente il marito e i suoi parenti appena una donna deposita una denuncia penale contro di loro. L'imputato resta in custodia finché non compare in tribunale e il giudice non fissa una cauzione. Le condanne possono arrivare a tre anni di carcere (se non ci sono reati più gravi, come una coercizione o violenze fisiche).

Prakash Chugh, che con i suoi ricorsi è ormai di casa alla Corte Suprema dell'India e sostiene che ci sono gravi abusi contro gli uomini nell’impiego che si fa di questa legge. Ampiamente accreditato come il padre del movimento per i diritti degli uomini indiani, a metà degli anni 1980 Chugh ha fondato Men’s cell – anche detta società per la prevenzione della crudeltà verso i mariti -, con cui dà assistenza a chi finisce in cella per il 489A. La Corte Suprema, a partire dal 2010, ha progressivamente riconosciuto il problema: in troppi ricorsi si parla di liti gonfiate, e troppo spesso si dà per buona la versione delle accusatrici.

Così al ricatto della dote – se non la paghi non ti sposi, e in India non essere sposate costituisce una sorta di invalidità sociale – s’è aggiunto (non sostituito) quello del processo se la famiglia del maschio esagera nelle pretese. È altrettanto difficile, nel primo quanto nel secondo caso, capire qual è il limite da non oltrepassare.

L’Mra sta lavorando addirittura per far abrogare la legge, cambiandola con una versione più moderna che includa anche le violenze sugli uomini. Sono giornaliste, avvocatesse, imprenditrici, casalinghe e registe. Difendono i diritti degli uomini perché sono consapevoli del fatto che una società che non sa difendere gli uomini non saprà neppure difendere le donne. E da qualche parte, qualcuno, doveva pur cominciare.

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