Festival di Venezia 2015: esce al cinema Italian Gangsters

Dal Festival di Venezia 2015, la storia di rapinatori sui generis, politicizzati, colti e galanti. L'ultima pellicola di De Maria racconta la storia dei leggendari criminali della Milano del dopoguerra, che affascinarono perfino Montanelli.


Un'immagine tratta da American Gangster, film sulla mala milanese presentato al festival di Venezia 2015


Aveva conquistato il pubblico del Festival di Venezia 2015, ed è in questi giorni in uscita nelle sale. Protagonisti, un gruppo di uomini affamati e violenti, ma guidati da chiare regole d'onore e dal senso di ribellione verso una società che reputavano ingiusta. Sono gli Italian Gangsters raccontati da Renato De Maria, in un film a metà tra il dramma teatrale e la ricostruzione storica. La pellicola racconta le vicende di Ezio Barbieri, Paolo Casaroli, Pietro Cavallero, Luciano De Maria, Horst Fantazzini e Luciano Lutring. Nomi oggi quasi sconosciuti ma che all'epoca, a fine anni '50, erano l'incubo della polizia milanese, protagonisti di alcune delle più clamorose rapine della storia del nostro Paese.
"Per me si tratta di una passione adolescenziale, sono sempre stato un grande fan dei gangster movies", spiega De Maria. "E sono sempre stato colpito da quanto questi personaggi fossero leggendari, a metà tra i cattivi e gli eroi. All'epoca la banda Cavallero incarnava in fondo un desiderio di rivolta comune. La seconda guerra mondiale era finita da poco e il confine tra bene e male era molto più sfumato". De Maria ha scelto di far parlare direttamente i banditi, attraverso le dichiarazioni rese ai giornalisti dell'epoca, tra cui Giorgio Bocca e Indro Montanelli. Alle voci degli attori che raccontano le vicende si alternano filmati d'epoca, spezzoni di film sul tema e addirittura super8 privati, recuperati grazie a un minuzioso lavoro di ricerca presso gli archivi dell'Istituto Luce.

La locandina del film Italian Gangsters

A rubare la scena però sono loro, i "figli della Ligera", la malavita milanese, un po' rapinatori, un po' anarchici. "Erano tutti molto attenti a non fare del male e per un po' ci riuscirono pure. E comunque mai nessuno del popolo, solo banche e grandi ricchezze". Una malavita, spiega De Maria, che risulta molto diversa da quella di stampo mafioso. "Non terrorizzavano, anzi cercavano di aiutare la gente dei quartieri popolari. Anche se ovviamente la fetta grossa del bottino andava a loro. Spesa in donne, vacanze e vita da gran signori". Difficile capire fino a che punto credessero davvero di compiere un atto rivoluzionario. "C'era sicuramente un certo compiacimento, ma anche la rabbia autentica di chi vedeva come unico futuro possibile un lavoro sottopagato in fabbrica".

Il film segue la storia della banda tra fughe rocambolesche e viaggi a Cortina fino al suo inevitabile epilogo. "Finiscono tutti in carcere, con condanne pesanti. E basta fare due conti per capire che, nonostante la loro aria vissuta, si tratta quasi sempre di ragazzi di vent'anni o poco più". Il regista ammette di avere un suo preferito: Luciano Lutring, che nascondeva il suo mitra dentro la custodia di un violino, rubava pellicce di visone per la sua innamorata Marion e regalava fiori alle cassiere che aveva derubato. L'essenza di questi bizzarri rapinatori è però forse rinchiusa in uno scambio di battute tra uno dei banditi e un'anziana che lo sgrida durante una rapina: "Ci vede lì, armi in pugno, e ci urla: ‘andà a laurà!’, andate a lavorare. Io la guardo e dico: “Signora, ma cosa crede che stiamo facendo?"

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