"Simona's Kitchen": la cucina più amata dagli italiani (e non solo)

"Simona's Kitchen", il foog blog della toscana Simona Cherubini è tra i più amati dalla rete. Alla ricerca dello "slow living", all'insegna del "gusto consapevole" e dell'"emotional cooking" Simona aggrega contenuti, passando al setaccio non solo la farina ma tutto ciò che di buono c'è in giro.


Simona Cherubini, 45enne toscana, è la regina delle food blogger.


Nel suo essere "confusionaria" e "rumorosa" Simona Cherubini, foodblogger tra le più amate dagli italiani (e non solo), fa ordine e crea silenzio. Lo fa nel suo Simona’s Kitchen l’angolo della rete dove pubblica le ricette della sua nonna e quelle che ascolta dalle amiche, che si fa raccontare dai produttori, che copia dai libri e che s’inventa. 

Perché Simona - 45enne toscana di Prato, mamma di Ludovica - un lavoro vero ce l'ha e le piace anche: è una libera professionista che si barcamena tra lo studio di consulenza in marketing digitale e il ruolo di responsabile marketing di una piccola casa editrice di libri d'arte, la cucina è la sua passione, uno spazio dove non ha manie di protagonismo e dove non vuole insegnare niente a nessuno. Simona vuole aggregare ingredienti e informazioni, passare al setaccio non solo la farina ma anche quello che di genuino c’è in giro ma non si ha il tempo, o la voglia, o la costanza, di cercare. 

Risultato: la Simona’s Kitchen è un concentrato di "gusto consapevole" dove si vive all'insegna dello "slow living". Il primo ingrediente è "ascoltare il proprio stato d’animo prima di metterti a cucinare (ma anche a mangiare)", il secondo "ogni tanto prova a fare una cosa alla volta". Forse è proprio per questo che in Italia la rete la ama, che dall'estero gli stranieri alla scoperta della cucina dello Stivale e quelli alla ricerca delle proprie origini (italiane) la seguono, la contattano, le chiedono consigli. E la apprezzano, ripagandola con la moneta più preziosa a cui aspira chi mette passione in quello che fa: la gratitudine

Correva l’anno 2000 quando ha aperto nella grande ragnatela del web la sua Simona’s Kitchen: "volevo raccontare la cucina toscana agli stranieri" racconta. La sua pappa al pomodoro, la sua ribollita, i sapori della sua terra. Le ricette erano in inglese: Simona si è laureata in Economia e Commercio, si occupa di Comunicazione da sempre e sa bene che uno degli ingredienti fondamentali è, tanto per iniziare, farsi capire. Quando nasce Ludovica il tempo per aggiornare manca, Simona’s Kitchen va in letargo fino al 2010, quando Simona cambia l'aria nella sua cucina e ricomincia, aggiungendo un’ingrediente in più che oggi usa come il prezzemolo: "l’emotional cooking, perché se è innegabile che mangiare è bisogno, è altrettanto vero che è legato agli stati d’animo”. Volete un esempio? "La ricetta della rabbia: è un pesto, si fa con il mortaio!” Elementare Watson: il concetto che sta alla base della Simona’s Kitchen è imparare ad ascoltarsi: è inutile cucinare un dolce quando l’umore è in fiamme, meglio assecondare le pulsioni. 

Una filosofia che va a braccetto con l’altra, lo “slow living”, ovvero? 

Nell’era moderna la relazione più difficile è con se stessi. Siamo bombardati di modelli, soprattutto le donne: madri, lavoratrici, mogli (questo io l’ho accantonato), amiche. Bisogna capire che non si può essere brave in tutto, sempre, ogni tanto bisogna fermarsi, smettere di annaspare, di fare le cose controvoglia, tutte insieme e cercare di farne una bene. Il tempo è sempre troppo poco ma ignorare i limiti che il corpo ci impone non serve a dilatarlo, anzi.

Tu che cosa fai quando stacchi la spina?

Spengo il cellulare, passeggio, faccio un giro in bici, vado al mercato, faccio due parole, sto con mia figlia, cucino.

Ecco, appunto, raccontaci che cosa c’è nella Simona’s Kitchen.

Il frigo è sempre pieno di verdura e frutta di stagione, latte, uova, burro e yogurt. D’estate in freezer non manca mai il gelato. Ultimamente c’è anche la pasta madre: l’ho battezzata (come vuole la tradizione) e ora me ne occupo. Ma è l’unico alimento fermentato che ho fatto da sola: tutti gli altri li compro per evitare di incappare nelle muffe. 

Le tue ricette: chi sono, da dove arrivano? 

Sono genuine, semplici, saporite e intense. Più o meno si realizzano tutte in mezz’ora perché so bene che non c’è tempo per impastare il pandoro. Preferisco usare bene le spezie, le erbe aromatiche, i sapori della terra per dare gusto ai cibi piuttosto che passare ore e ore davanti ai fornelli senza la certezza del risultato. Arrivano da tutte le parti: dalla mia nonna, prima di tutto, e poi dai libri, dagli amici, dagli esperimenti e dalle ispirazioni. Non sono una chef ma un’appassionata di cucina che ha letto tantissimo, frequentato corsi ma ha ancora molto da imparare, non ho la pretesa di insegnare nulla. Voglio dare dei consigli, condividere non solo gusti ma anche ricerche, dati, informazioni, istruzioni per leggere le etichette perché un ingrediente genuino è il presupposto fondamentale non solo per una buona ricetta ma per un’alimentazione sana. E oggi si sa troppo poco sugli ingredienti che mettiamo sulla nostra tavola. Un esempio? Molto spesso siamo disposti a pagare più caro l’olio per il motore dell’auto di quello che mettiamo nell’insalata. Ogni genitore dovrebbe sapere queste cose quando cucina per i propri figli. 

E tu com’eri da bambina, già appassionata di cucina?

Macché! Ero magnolia e inappetente. Ricordo ancora come un incubo quando era pronto in tavola e io non avevo appetito, mai. Mi sedevo, guardavo nel piatto, annusavo come fanno i gatti e storcevo la bocca. Poi sono cresciuta e ho capito che il cibo ha mille sfumature, che bisogna annusarlo, guardarlo, assaporarlo, tastarne la consistenza e andare oltre i pregiudizi: non tutto quello che è bello è anche buono e viceversa. È da questo percorso che nasce la mia emotional cooking, il concetto di gusto consapevole ed è per questo che sono felice di ospitare sul blog anche la rubrica Psiche in Cucina tenuta da una psicologa.

Visto che ci sei passata, che cosa consigli alle madri di figli inappetenti?

Di non insistere perché si ottiene l’effetto opposto. Piuttosto di sperimentare, cambiare sapori, consistenze, colori. A volte ci sono palati che non apprezzano i cibi sciapi e allora basta aggiungere del formaggio, del salmone affumicato, perfino del tartufo e il miracolo si compie. Il gusto è istintivo e nei bambini lo è all’ennesima potenza ma fatto il primo passo, il resto s’impara un pezzo alla volta. L’importante è trasmettere il mangiar sano cosicché quando si ritrovano a mangiare junk food - e succede comunque - almeno hanno gli strumenti per apprezzare le differenze.

Che cosa pensi dei cooking talent?

Non li ho seguiti molto, sono piacevoli, ma una sera. Credo che ce ne siano troppi e che trasmettano un messaggio sbagliato: la vita in cucina è come in caserma, prima di diventare grandi chef - che ora assomigliano ai grandi attori - ci sono anni e anni di duro lavoro nelle ore e nei giorni in cui il resto del mondo si riposa o è in vacanza. 

Che cosa consigli ai tanti giovani che sognano un futuro in cucina?

Che la cucina non è solo davanti ai fornelli: in Italia c’è un sacco di offerta ma chi cerca un buon ristorante cerca non solo una buona cena ma anche una bella esperienza. Rispetto alla Francia, per esempio, siamo molto indietro nella consapevolezza e nella valorizzazione di quello che la terra prima e la cucina poi, possono offrire. Per questo dico, pensateci bene, strutturatevi, cercate il vostro cavallo di battaglia prima di iniziare la corsa. Poi credeteci fino in fondo, non bisogna mai smettere di mettersi alla prova.

Copyright foto: Simona Cherubini
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