Il giorno della felicità: il 20 marzo per fare il punto
Il 20 marzo è la Giornata mondiale della felicità: voluta dall'Onu, la ricorrenza è l'occasione per calcolare il benessere di una nazione. L'Italia è al 48esimo posto.
C’è poco da far dell’ironia: il 20 marzo, la giornata mondiale della felicità voluta dall’Onu, non è l’occasione per sfoggiare i propri drammi sui social. Bisognerebbe scendere in piazza e reclamare equità sociale, partecipazione civile, parità di genere. Perché questo contraddistingue le nazioni felici di quella felicità che, per primo, teorizzò Bob Kennedy nel 1968. La sua era un’idea di felicità collettiva, tra le persone, per le persone. "Non sentire il vento tra i capelli guidando una decapottabile ma vivere in una società che non discrimina, che accoglie, che comprende", per dirla con le parole di sua figlia, Kathleen Kennedy Townsend.
Quasi 50 anni dopo, la via italiana alla felicità è decisamente in salita. Partiamo dalla classifica che, come al solito, è umiliante: secondo il World Happiness Report 2017 - che incrocia il PIL pro capite, la libertà, la speranza di vita, il sostegno sociale, la generosità e l’assenza di corruzione nel governo o per affari - il Belpaese sta al 48° posto, tra Uzbekistan e Russia. Nella top ten dominata dalla Norvegia, c’è praticamente tutto il nord Europa (Danimarca, Islanda, Finlandia e Svezia), l’immancabile Svizzera, i Paesi Bassi, il Canada, la Nuova Zelanda e l’Australia. Gli Stati Uniti si piazzano 14esimi, i tedeschi 16esimi, i britannici 19esimi, i francesi 31esimi. Fanalini di coda i paesi dell’Africa sub-sahariana, la Siria e lo Yemen.
La questione è seria perché, come ha scritto l'Onu nel 2012, quando ha indetto la Giornata, "la ricerca della felicità è un scopo fondamentale dell'umanità" e come ha ripetuto Jeffrey Sachs, direttore del Sdsn e consigliere speciale del segretario generale Onu: "I paesi felici sono quelli che hanno un sano equilibrio tra prosperità, come convenzionalmente misurata, e il capitale sociale, il che significa un alto grado di fiducia nella società, bassa disuguaglianza e fiducia nel governo”. Non solo: secondo la ricetta nordeuropea (confermata dallo studio dell’Università di Otago, in Nuova Zelanda), il segreto sta nello “Hygge”, ovvero il concedersi piccole cose, condividere. Scenario che l’Italia di questi ultimi anni si sogna.
Qualche esempio? La puntata di Parliamone Sabato andata in onda su Rai1, condotta da Paola Perego. Quella dal titolo: “La minaccia arriva dall'est. Gli uomini preferiscono le straniere”; sottotitolo: "Sono rubamariti o mogli perfette?”; grafica: “Sono tutte mamme, ma dopo aver partorito recuperano un fisico marmoreo. Sono sempre sexy, niente tute né pigiamoni. Perdonano il tradimento. Sono disposte a far comandare il loro uomo. Sono casalinghe perfette e fin da piccole imparano i lavori di casa. Non frignano, non si appiccicano e non mettono il broncio”. Ebbene, in un paese dove la condizione della donna non è certo felice il fatto che un’altra donna proponga un pastone farcito di stereotipi, pregiudizi, ignoranza e discriminazioni non fa per nulla felici. I social l’hanno bastonata, i vertici Rai si sono scusati, ma la frittata era fatta: l’Italia non è (ancora) un Paese dove essere felici.