In cucina "Il sapore del successo" passa (prima) per l'estero
"Il sapore del successo" (nelle sale dal 26 novembre) vede Bradley Cooper nei panni di uno chef alle prese con l'apertura del suo ristorante. Un traguardo che nella realtà arriva dopo (numerose) tappe all'estero.
Quando Il sapore del successo investe Bradley Cooper, nei panni (o meglio, nel grembiule) dello chef terrible che ha già tutto (stelle Michelin comprese), il protagonista del film (in sala dal 26 novembre) vuole sempre di più ma perde l’equilibrio, cade, si rialza, si rimette in carreggiata e alla fine ce la fa: il suo ristorante, la terza stella e perfino l’amore che, si sa, in cucina fa la differenza.
Quella che al cinema è raccontata come un’avventura divertente condita con un cast stellare - anche Sienna Miller, Uma Thurman, Alicia Vikander e Daniel Brühl -, molta ironia, buon gusto e seconde chance, nella vita è un’odissea che - per lo meno a curiosare nella vita dei maestri dei fornelli -, passa sempre per l'estero più che per i capricci delle rockstar di bianco vestiti.
Il sapore del successo di Luigi Nastri
Vedi il tira e molla del celebre Luigi Nastri, conteso tra Roma e Parigi: fu lo chef di Settembrini, il prestigioso ristorante della capitale; a gennaio 2014 ha firmato il suo primo menù a La Gazzetta, nella Ville Lumière, in quel neobistrot dove, in men che non si dica (anche grazie alla sua brigata, quasi tutta italiana), ha fatto dimenticare la cucina dello svedese Petter Nilsson. Un anno dopo fa marcia indietro, lascia Parigi e torna a Roma, pronto ad aprire un locale tutto suo. Perché “sicuramente a Parigi è più semplice aprire un'attività - raccontava a Il Gambero Rosso alcuni mesi fa -, ma l'idea di portare quello che ho imparato a Roma mi diverte molto di più”. Insomma, è il sapore della sfida l’ingrediente che fa la differenza. Poco importa se Nastri tornerà (come dicono alcuni) alla cucina del Settembrini rinnovato o nel nuovo ristorante di Officine Farneto (come dicono altri): davanti a lui c’è una strada tutta nuova da intraprendere, e questo fa una bella differenza.
Chef italiani all'estero
Perché la parabola degli chef non è tanto diversa da quella dei cervelloni che lasciano l’Italia alla ricerca di lavori, posizioni e stipendi più gratificanti all’estero, salvo coltivare nell’animo, un giorno dopo l’altro, la speranza di poter tornare a casa e riversare l’esperienza acquisita. D’altra parte all’estero lo chef italiano è trattato con i guanti, gli investimenti sono più importanti e le sfide più allettanti, ma il riconoscimento in patria non ha prezzo.
La famiglia Alajmo all'attacco di Parigi
Mappamondo alla mano, le cucine dove si parla italiano spuntano come i funghi d’autunno. C’è la portentosa famiglia Alajmo, ristoratori da generazioni: Massimiliano (Max), il più piccolo dei due fratelli dopo una gavetta all’estero alla corte dei più prestigiosi chef si è aggiudicato, a soli 28 anni, le 3 stelle Michelin (mai nessuno ci era riuscito così giovane). Oggi è titolare, insieme alla sua famiglia, di quattro ristoranti a Padova, uno a Venezia e uno a Parigi, quel Cafè Stern nel Passage des Panoramas nei locali dello storico laboratorio dell’incisore omonimo, rivisitati dall’archistar Philippe Starck.
Pietro Parisi: chef di tre cucine in Oman
Nel mezzo della parabola professionale, c’è Pietro Parisi, lo chef “vesuviano dal sorriso aperto e spontaneo” come ama definirsi, figlio della tradizione contadina di Palma Campania che, dopo le tappe formative presso i mostri sacri della cucina (Alain Ducasse e Gualtiero Marchesi), e alcune esperienze in Francia, Svizzera e negli Emirati Arabi al Burj al-Arab (uno degli hotel più lussuosi al mondo), nel 2005 torna nella sua Campania per aprire Era Ora, il ristorante tutto suo. Un successo mai visto che gli dà non solo la carica per osare ancora ma anche il prestigio per fare il grande salto: nel 2014 Saleem Q. Al Zawawi, Advisor del Ministero del Turismo del Sultanato dell’Oman e Presidente di Marina Bandar Al Rowdha scommette su di lui, stanzia un investimento milionario e imbandisce a Muscat tre cucine ritagliate intorno a lui. “In tutti e tre i ristoranti faremo vera cucina italiana senza compromessi - assicura Parisi -. Lo sceicco si è esaltato per la cernia con gli spaghetti al cartoccio e noi proporremo molti prodotti italiani a partire dalla pasta con grano Senatore Cappelli, i pomodori, il formaggio, l’olio extra vergine di oliva”. Oggi Pietro è l’executive chef di Four Season Tourism Group e da lui dipende direttamente il suo sous chef Giuseppe Ferrara, 25enne che ha lavorato con lui per otto anni. Un successo costruito da zero, il suo, senza mai dimenticarsi da dov’è partito: “Al centro del mio lavoro c’è spesso il riuso di tutto ciò che in cucina viene considerato scarto. Bucce, gambi, foglie, acquistano una nuova vita. Così si insegna una vera cultura profonda, fatta di rispetto verso la natura e i suoi frutti”, assicura, da bravo “chef contadino” quale si definisce.
Massimo Sola: "L'America chiamava"
Chi, invece, è volato Oltreoceano è Massimo Sola: dopo lo stellato Quattro Mori di Varese, l’avventura marina ai Bagni Nettuno di Borgio Verezzi, l’esperienza Relais & Chateaux veronese, a L’Arquade di Villa del Quar, e due anni a Eataly-Roma nei panni di executive chef, è volato a San Diego perché “l’America chiamava e dall’Italia non ho invece ricevuto avuto segnali abbastanza convincenti”. Risultato: insieme ai suoi soci veneti ha aperto, in piena Down Town, Pan Bon: mille metri quadrati dedicati al “cibo buono”. Tradotto: “due livelli al piano terra di un grande grattacielo alle porte di little Italy. Un ristorante da 90 coperti, una panetteria, pasticceria e gastronomia da asporto. Aperto 18 ore al giorno. Un locale che può sfamare 800 persone al giorno”. Con che cosa? Naturalmente con “una cucina estremamente italiana senza compromessi (niente zucchero nella salsa di pomodoro, per capirci), basica, essenziale”, spiega Massimo Sola che per arredare tutto quello spazio ha voluto solo mobili della Brianza per tenere alta la bandiera del design italiano.
Insomma, cari ragazzi che andrete a vedere Bradley Cooper alle prese con Il sapore del successo, sappiate che prima di tirare su la serranda del vostro ristorante in Italia la strada è lunga, faticosa e passa per l’estero. Non temete, cercate, osate: le cucine imbandite per voi (basta farsi un giro in rete per farsene un’idea) vi stanno già aspettando.
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