AIDS, "It's not over": la sfida continua

Nel "World Aids Day" il regista Andrew Jenks  presenta il lungometraggio "It's not over" per raccontare le storie dei malati. Perché 1,5 milioni di morti all'anno sono troppi ma la fine del virus, secondo l'Oms, è vicina.  

"It's not over", realizzato da Andrew Jenks, è un giro del mondo alla ricerca delle storie dei malati di HIV.


Nel 2013 ha ucciso un milione e mezzo di persone e ne ha contagiate altri due milioni, di cui il 70% vive nei paesi in via di sviluppo. Tredici milioni sono invece i malati in terapia antiretrovirale, che galleggiano tra la vita e la speranza. Il colpo finale all'HIV arriverà, forse, nel 2030. La prospettiva lanciata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità nel World Aids Day è fatta di numeri: se entro il 2020 verranno diagnosticati il 90% dei sieropositivi, se verranno trattati e se la malattia sarà soppressa, allora il 2030 potrebbe essere l'anno delle "nuove infezioni zero" e dei "morti zero". ''Circa la metà di tutte le persone che nel mondo vivono con l'HIV non sanno ancora di avere il virus - spiega Gottfried Hirnschall, che dirige il dipartimento HIV dell'Oms. - Serve uno sforzo comune per offrire il test alla popolazione più ampia possibile, e un focus sulle cosiddette popolazioni chiave, omosessuali, lavoratori del sesso, tossicodipendenti''. Anche perché, nei paesi a medio e basso reddito la situazione dei bambini è particolarmente grave: solo uno su quattro riceve la terapia. 

Insomma, tanti, troppi morti e troppi "se" separano la scienza dalla sconfitta del Virus. Per questo It’s Not Over, il lungometraggio realizzato grazie al M∙A∙C AIDS Fund - il braccio filantropico di M∙A∙C Cosmetics - dal famoso produttore e regista Andrew Jenks è importante. Perché parla alla testa e alla pancia senza giri di parole, con i fatti, scavando nelle vite e nell'intimità dei malati ai quattro angoli del mondo. Mostra quello che è più facile ignorare e umanizza con i volti ciò che i dati allontano. Il suo è un viaggio attraverso i continenti inseguendo i malati e le loro storie. 


Il regista Andrew Jenks.

Negli States incontra Paige Rawl, matricola universitaria dell'Indiana che vive con l’HIV da sempre. Dopo anni trascorsi a combattere gravi pregiudizi e momenti di depressione, Paige ha capovolto la situazione diventando una grande promotrice della lotta contro la malattia, impegnandosi ad organizzare maratone di danza nella sua Università e offrendo aiuti ad altri ragazzi colpiti dal virus. "Crescere accompagnata dallo stigma associato all’HIV/AIDS - ha dichiarato Paige - mi ha fatto sentire spesso sola. Naturalmente a volte mi sveglio di malumore quando penso a tutto quello che ho dovuto affrontare. Poi mi rendo conto che avevo bisogno di queste esperienze per aiutare gli altri. Condividere la mia storia è il mio modo di essere vicina a tutti i malati perché so cosa hanno passato e cosa provano. E più cresco, più mi rendo conto che ho bisogno di continuare a fare tutto quello che posso per essere loro d’aiuto".

In India è la storia di Sarang Bhakre, commediografo di Mumbai dichiaratamente gay in un Paese che bandisce l’omosessualità, quella raccontata nel documentario di Jenks. In particolare, il regista ha affiancato Sarang dalle prove al debutto della sua ultima pièce che, per l'appunto, parla di matrimoni gay: "so che con una maggior informazione sull’HIV - ne è convinto Sarang - possiamo iniziare a mettere fine a questa piaga. E ancor più importante desidero che tutti sappiano che l’HIV non è una condanna a morte. Infatti l’HIV a me ha donato un forte senso di appartenenza alla vita". 

In Sudafrica è Lucky Mfundisi - allenatore di calcio ed educatore presso il Grassroot Soccer, un’organizzazione che si occupa di AIDS e che insegna ai giovani la prevenzione attraverso il calcio - che funge da guida turistica attorno a Khayelitsha, la township più grande del Sudafrica, dove si registrano alcuni dei più alti tassi di HIV al mondo. "Desidero mostrare al mondo che anche chi ha l’infezione o è affetto da HIV può rappresentare quel cambiamento positivo, visibile, del quale abbiamo bisogno - ha dichiarato Lucky - Desidero dimostrare come i giovani possano prendere una posizione e avere un ruolo attivo. Parlare dell’HIV aiuta gli altri a capire quanto sia importante aiutare chi convive con l’HIV. E chi ha l’infezione deve sapere che le persone HIV-negative pensano e si preoccupano per loro e possono sostenerli. Desidero che i giovani si assumano la responsabilità delle loro vite e che vedano che non devono aspettare che siano gli altri ad aiutarli. Possono agire in prima persona nei loro quartieri, nelle loro comunità".

Un giro del mondo, quello di It’s Not Over che vuole dare un giro di vite a una delle epidemie più letali dei nostri tempi che per essere sconfitta dev'essere prima conosciuta. "Per molte persone l’argomento HIV/AIDS è esaurito e stantio - dichiara Andrew Jenks - una questione degli anni Ottanta. Molti dei bellissimi film che descrivono protagonisti affetti da HIV - quali Dallas Buyers Club, The Normal Heart, o We Were There - sono tutti ambientati nel passato. Quando ho incontrato i rappresentanti del M·A·C AIDS Fund ho appreso che le nuove infezioni riguardano il 30% dei giovani e che, in determinate aree e gruppi, si riscontra un reale aumento delle infezioni. Per me è stata un’opportunità innanzitutto per imparare e per cercare di raccontare questa storia in un modo mai sperimentato prima".

Anche perché tra i giovani l'ignoranza regna sovrana. Quello che manca, per lo meno in Italia, è una vera educazione al tema. Una ricerca di Skuola.net che ha coinvolto 4mila ragazzi di scuole medie, superiori e università dimostra che a giocare un'ingenua roulette russa con l'HIV sono ancora in troppi. Un giovane su sei confessa di non usare mai il preservativo. Pochi di più solo in caso di rapporti occasionali. Eppure il 90% è consapevole di rischiare attraverso i rapporti non protetti. Una questione fondamentale, la consapevolezza. Uno degli obiettivi che ha inseguito Jenks nel suo film: "Tutte le testimonianze raccolte creano consapevolezza anche se in modo diverso. Sarang educa la propria comunità attraverso la propria espressione artistica e teatrale riguardo all’omosessualità; Paige lancia un messaggio che interessa tutti gli States e Lucky utilizza il calcio per educare, ispirare e mobilitare le comunità in un Paese dove l’epidemia registra i maggiori livelli di diffusione al mondo". 

Accanto alle cose che ancora ci sono da fare, però, l'Oms ci tiene a ricordare anche i progressi raggiunti, soprattutto quelli in alcuni paesi che fino a pochi anni fa erano nel pieno dell'emergenza. "In Ruanda ad esempio - ricorda Francesca Belli dell'Aides, la più grande Ong europea contro l'AIDS - oltre l'80% dei pazienti ha accesso alle cure. Questo paese ha calcolato che investendo 12,7 milioni in trattamenti ne risparmierà oltre 25 in nuove infezioni. Se riusciremo a fermare le nuove infezioni potremo finalmente mettere la parola fine alla storia dell'AIDS''. Il 2020 è vicino, la quota 90% passa attraverso la consapevolezza di ciascuno di noi.


Copyright foto: M∙A∙C AIDS Fund
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