Violenza sessuale: l’inferno di una trans in una prigione maschile

Condannata a 4 anni per il furto di un'auto, una transgender ha raccontato "l'inferno in terra" in una prigione maschile australiana dove ha subito più di "2mila stupri".

Il caso di Mary non è unico: nel 2015 Vicky Thompson, detenuta in una prigione maschile di Armley, si è suicidata.


Quattro anni dietro le sbarre, duemila stupri: “l’inferno in terra” di Mary, nome di fantasia di una transgender ex detenuta nel carcere di Boggo Road, Brisbane, Australia, è difficile anche solo da immaginare. Purtroppo per l’umanità, il suo non è l’unico

L'ingresso in carcere

Il calvario di Mary inizia negli anni Novanta quando, per un furto d’auto, viene spedita in un istituto di sicurezza maschile nonostante da anni avesse iniziato la sua metamorfosi per diventare una donna, il genere a cui sentiva di appartenere. “Quando sono entrata in carcere mi è stato ordinato di spogliarmi” ha raccontato Mary in un'intervista a news.com.au. “In breve tempo la notizia che ero una transgender fece il giro di tutte le celle”. E come le api sul miele i “detenuti iniziarono ad avvicinarmi. Durante le prime due notti ho cercato di difendermi, ma sono stata malmenata. Dicevo no, ma loro erano in tanti”. 

Gli stupri di gruppo

Perciò non le è rimasto che arrendersi alle violenze, cercando di sopravvivere: “Erano stupri di gruppo ai quali, come ho capito fin da subito, non potevo sottrarmi” ha spiegato Mary che solo 20 anni dopo ha trovato la forza di raccontare l’orrore del passato. “Non c'era modo di difendermi, fare resistenza significava morire. In quattro anni sono stata violentata regolarmente ogni giorno, più volte al giorno, da più persone. Mi picchiavano, mi sbattevano al muro, era come se fossi morta. Ho capito che dovevo farlo per sopravvivenza: la mia vita era in relazione con il piacere di altri prigionieri. Era un inferno in terra”.
 
Un inferno in cui ha “subìto più di duemila violenze sessuali e ho perso la mia identità. Mi ricordo ancora che appena entrata un detenuto mi tagliò i riccioli che mi arrivavano a metà schiena, mentre non avevo più accesso alle mie pillole ormonali. Poco dopo iniziò a crescermi di nuovo la barba. Non sapevo più chi ero”.

I tentativi di fuga

Al punto che Mary tenta la fuga tre volte - “non stavo scappando dalla pena, stavo scappando da quelle torture” - ma non fa che aggravare la sua posizione: “Questo significava che avrei scontato gli anni che rimanevano nel reparto di massima sicurezza, con i prigionieri più violenti” ma all’istinto di sopravvivenza non si comanda. Viene trasferita più volte ma il copione è sempre lo stesso anche se l’orrore di Boggo Road è stato il peggiore.
 

Un caso non isolato

Per un po’ Mary trova conforto in un’altra detenuta transgender, anche lei vittima degli stessi trattamenti, tanto che quando fu rilasciata e poi arrestata nuovamente per violazione di libertà vigilata, preferì suicidarsi che tornare dietro quelle sbarre popolate da mostri. “Ammetto di aver sbagliato – confessa senza esitazione Mary –, non dovevo rubare quella macchina. Ma ero una donna e dovevo essere trattata come tale. Non capisco perché sono stata data in pasto a un branco di uomini”.
 
Sorte che, purtroppo, non è toccata solo a lei: nel 2015 Tara Hudson, transgender, rimase una settimana nel braccio maschile nel Gloucester Shire e subì talmente tanti stupri da sollevare una petizione che, finalmente, le permise di essere trasferita in un carcere femminile. Alla collega Vicky Thompson, detenuta in una prigione maschile di Armley, è andata peggio: il suo avvocato lavorava per il trasferimento ma lei ha ceduto prima e si è suicidata.

Preferisco morire che andare in prigione un'altra volta nella mia vita – ha concluso Mary – quell'esperienza mi ha devastato per sempre. Non ho una relazione da anni e non mi fido degli uomini e non lo farò mai più in tutta la mia vita. Siamo esseri umani anche noi. Vogliamo vivere la nostra vita senza essere ridicolizzati dalla società perché abbiamo avuto il coraggio di essere chi siamo”.

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