Amici miei, al cinema la pellicola restaurata di Mario Monicelli

Lunedì 16 e martedì 17 novembre torna al cinema la pellicola restaurata di "Amici Miei", il capolavoro di Mario Monicelli che ha per protagonisti quattro giullari irriverenti. 

"Amici Miei" torna al cinema lunedì 16 e martedì 17 novembre con una pellicola restaurata.


Amici miei torna al cinema, restaurato nella pellicola, identico nella sua potenza irriverente. Succede lunedì 16 e martedì 17 novembre nelle sale The Space e Uci di tutta Italia e nel nuovo circuito My Cityplex di Roma. Succede quarant'anni dopo la prima uscita nelle sale cinematografiche e a un secolo dalla nascita del regista, Mario Monicelli, scomparso il 29 novembre del 2010. Un’occasione per rivivere le avventure e soprattutto le “zingarate” dei quattro amici fiorentini: il decaduto Conte Raffaello "Lello" Mascetti (Ugo Tognazzi) costretto a vivere in uno scantinato, il solitario Giorgio Perozzi (Philippe Noiret), giornalista di cronaca disprezzato da moglie e figlio per la scarsa serietà e le avventure extraconiugali, l'architetto Rambaldo Melandri (Gastone Moschin) e lo scansafatiche Guido Necchi (Duilio Del Prete e Renzo Montagnana nei film successivi), il barista tenuto al guinzaglio dalla moglie Carmen. 

Amici che si sono scelti - memorabile la battuta dell’architetto Melandri "Ragazzi, come si sta bene fra noi, fra uomini! Ma perché non siamo nati tutti finocchi?" - e che insieme, ciascuno nel suo ruolo di giullare, raccontano le voci di un’Italia che cambia, non più spensierata, alle prese con le tensioni politiche e sociali della metà degli anni Settanta.

A quelle tensioni gli amici si oppongono girando tutta la vita in scherzo. Si può fingere che l’amante sia morta, soluzione che Perozzi-Noiret adotta per ricucire con la moglie che lo ha lasciato e soprattutto gli ha lasciato il figlio. Si possono schiaffeggiare i pendolari in partenza con il treno, per irridere una società di automi dediti al lavoro. Si può mettere in mezzo la disperazione di un vedovo al cimitero creando un equivoco dolce-amaro che restituisce alla morte una dimensione più umana. Tutto passa attraverso la “super cazzola” uno scioglilingua che in realtà non vuol dire nulla ma che tutti prendono sul serio perché basta il tono della voce a trasmettere autorevolezza anche a un gruppo di sillabe pronunciate a caso. Il film ci dice che non bisogna prendersi troppo sul serio: il suo successo, attraverso i decenni, ci dice quanto questo messaggio sia universale.

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