A Kobane i funerali del piccolo Aylan, suo fratello Galib e la mamma

Abdullah Kurdi, il papà del piccolo Aylan diventato il simbolo della tragedia dei profughi, è tornato a Kobane per seppellire tutti suoi cari: nella traversata sono morti anche l'altro figlio, Galib, e la moglie Rihana. 

I funerali del piccolo Aylan, di suo fratello Galib e della mamma Rihana si sono svolti a Kobane.


Parla con voce bassa Abdullah Kurdi, il papà del piccolo Aylan che dopo aver fatto il giro del mondo in quella foto sulla battigia di Bodrum è tornato a Kobane per essere sepolto insieme a suo fratello, Galib, di 5 anni e alla loro madre, Rihana"Erano i bambini più belli del mondo: la mattina mi venivano a svegliare perché giocassi con loro. Ora non ci sono più e tutto quello che voglio fare è sedermi sulla loro tomba e piangere". Parla di quella famiglia che tante volte aveva cercato di fuggire dalla cittadina siriana stretta nella morsa dell’Isis, è rimasto solo lui, quel papà che aveva messo da parte i soldi e affidato il futuro a scafisti che lo hanno abbandonato tra le onde, lasciando che i suoi cari morissero nelle acque dell’Egeo. Un uomo che insieme alla sua famiglia, in quella terra, ha seppellito tutti i suoi sogni. "Voleva andare in Europa solo per il bene dei suoi figli. Adesso che sono morti, vuole stare vicino a loro a Kobane" ha spiegato il fratello, Suleiman. 

"Mia sorella vive in Canada - ha raccontato Abdullah -. Le autorità canadesi mi hanno chiamato per chiedermi se volevo seppellire mia moglie e i bambini in Canada, ma non ho accettato”. Una proposta, quella canadese, arrivata fuori tempo massimo: secondo l’Ottawa Citizen la zia di Aylan, Teema Kurdi, aveva fatto diversi tentativi per far ottenere il visto a tutta la famiglia. Richiesta che sarebbe stata rifiutata lo scorso giugno. “Dopo quanto è accaduto - ha dichiarato Abdullah a margine della proposta a volare Oltre Oceano -, non voglio andare. Porterò i corpi prima a Suruc, poi a Kobane. Passerò lì il resto della mia vita. Voglio che il mondo intero ci ascolti dalla Turchia, dove siamo arrivati fuggendo dalla guerra. Sto soffrendo tantissimo, faccio questa dichiarazione per evitare che la stessa cosa succeda ad altri”. 

Abdullah è arrivato nella sua città natale accompagnato, tra gli altri, da Dilek Ocalan, la nipote del leader del Pkk in prigione. "Non posso incolpare nessun altro per questo, solo me stesso - ha affermato, devastato dal dolore - pagherò il prezzo per il resto della mia vita". Un prezzo troppo alto perché un padre non può sentirsi responsabile di una morte così ingiusta. 

Il racconto che ha fatto alla radio curda Rozana Fm è straziante: ”Lo scafista turco è saltato giù dalla barca ed è scappato, lasciandoci soli a lottare contro le onde. Io ho preso per mano i miei due bimbi e per un'ora con mia moglie ci siamo aggrappati alla barca rovesciata, i miei figli erano ancora vivi". Una fatica troppo grande, nel mare, senza salvagente: "Il primo figlio (Galib) è stato portato via dalle onde, sono stato costretto a lasciarlo per tenere il secondo bimbo". Ma anche lui, il piccolo Aylan - che in realtà si chiama Alan, portabandiera - "è morto tra le mie mani. Ho visto la bava uscire dalla sua bocca. L'ho lasciato per salvare la loro madre, ma ho capito che anche mia moglie non era più in vita. E così sono rimasto in acqua per tre ore fino a quando sono arrivate le guardie costiere turche e mi hanno salvato".   

A trovare il piccolo Alan, Nilufer Demir, la fotoreporter che “pietrificata”, ha scattato l’immagine più cruda della sua carriera: “l’unica cosa che potevo fare era fare in modo che il suo grido fosse sentito da tutti”. Un intento che Mohammad, un altro fratello di Abdullah, ripete gran voce: ”Tutti devono vedere la foto di Aylan, tutto il mondo la deve guardare e vergognarsi. È scioccante, lo so. Ma perché la morte dei miei poveri nipoti non sia stata inutile, è importante che la guardiate ancora e ancora. Indignatevi e ricordatevela per sempre".

Copyright foto: Twitter@Independent
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