Giochi di potere: lo sciopero del sesso per cambiare il mondo

Dai tempi di Lysistrata, nella Grecia antica, fino alle giapponesi nel 2014 le donne hanno messo in scena una serie di scioperi del sesso: giochi di potere privati in grado dai risvolti politici e sociali. 

In Liberia, lo sciopero del sesso come gioco di potere politico ha spianato la strada a Ellen Johnson Sirleaf, prima presidente donna in Africa.


La prima fu Lisistrata, l’ateniese esperta di giochi di potere che, per convincere gli uomini a firmare la pace e smetterla con quella dannata guerra nel Peloponneso che teneva i mariti lontani dalle famiglie, propose alle colleghe di tutta la Grecia uno sciopero del sesso. Raccontato nella commedia di Aristofane lo stratagemma funzionò, la guerra finì e si ritrovarono tutti a festeggiare in un tripudio di danze e banchetti. Due millenni e mezzo dopo le donne continuano a metterlo in atto, perché le conseguenze che scatena l’astinenza sono del tutto imprevedibili. Talvolta (è meglio chiarirlo fin da subito) non troppo positive, però. Lo sa bene la signora di Pescara che l’ha messo in atto con il marito fedifrago: è stata lasciata e quando è andata in Tribunale si è sentita dire dalla Cassazione (ordinanza 2539 della Sesta sezione civile) che aveva torto perché a forza di negarsi uno l’amante se lo fa per forza. 

Giochi di potere: una lunga lista 

Eccezioni (private) a parte, la lista dei giochi di potere sotto le lenzuola è lunga migliaia di anni, migliaia di chilometri e racconta battaglie pacifiche, dove l’astinenza si trasforma nello strumento di pressione privato con risvolti politici e sociali. Il primo registrato nel Global non violent action database risale al 17esimo secolo, in Nord America: allora furono le Irochesi a ribellarsi per ottenere il potere di veto nell’assemblea che decideva l’ingresso in guerra del loro popolo. Ancora una volta ebbe successo e oltre alla pace del loro popolo, lo sciopero fu un primo assaggio di femminismo ante litteram.

I giochi di potere dalla Turchia alla Liberia  

Nel 2001 ci provano le donne turche di Siirt, nel sud ovest del Paese, stufe di veder ignorate le loro lamentele sulla fornitura d’acqua, troppo scarsa: respinti dalle loro mogli, gli uomini decidono di occuparsi dell’annoso e tropo a lungo rimandato problema. Risultato, nel giro di pochi mesi viene costruito un acquedotto e la faccenda è risolta. Due anni dopo è la volta della Liberia: la guerra civile dura da 14 anni, il Paese è allo stremo, le donne del Women of Liberia Mass Action for Peace si negano ai loro uomini per sei mesi rivelandosi decisive per la pace e spianando la strada all’a vittoria della prima donna presidente di un Paese africano, Ellen Johnson Sirleaf. Le keniote iniziano il loro sciopero coniugale dopo le elezioni del 2009 quando un’ondata di violenza uccide più di 1500 persone: una settimana di “no” basta a scuotere il primo ministro e il presidente del paese convincendoli a trovare la via per appianare le discordie.

Gambe incrociate in Colombia

Le colombiane di Barbacaos, nel sud-ovest del Paese, attiviste del Crossed legs movement (il movimento delle gambe incrociate) fanno rumore nel 2011: esauste per le pessime condizioni delle strade (per alcuni paesi si impiagano anche 14 ore) si decidono a incrociare le gambe - compresa la giudice Marybell Silva - per tre mesi e 19 giorni quando una giovane donna incinta muore aspettando l’ambulanza che non arriva in tempo. “Perché far venire al mondo i bambini - si domanda la portavoce dell’iniziativa, Rubino Quinonez - quando non possiamo neanche offrire loro i più elementari diritti?”. Il governo si decide, stanzia 21 milioni di dollari per sistemare il primo pezzo ma nel 2013 le donne incrociano di nuovo le gambe: o la strada viene sistemata o la porta della camera resta chiusa. 

Lo sciopero del sesso: uno strumento politico

Sempre nel 2011 succede nelle Filippine dove le donne si astengono dagli amplessi finché i loro uomini non si decidono a placare gli animi. Risultato: in una settimana i disordini di Mindanno si chetano. L’anno dopo è la volta del Togo: Isabelle Ameganvi, una delle leader dell’opposizione al governo, convince le colleghe a chiudere i battenti per chiedere le dimissioni del presidente Faure Gnassingbe (tutt’ora in carica).
 
Le canadesi si cimentano nell’impresa nel 2012 dopo l’ennesima sparatoria a Toronto per un regolamento di contri tra gang. A lanciare l’idea è Nicole Osbourne James, dal blog Guns get None aperto apposta e da cui cerca di convincere quante più mogli e fidanzate di uomini proprietari di armi da fuoco a negarsi finché non fosse tornata la calma. Da allora i morti sono diminuiti, qualcosa è cambiato.
 
Decise a contrastare in tutti i modi l’annessione russa della Crimea, le donne ucraine organizzano una vera e propria campagna dal titolo Non darla a un russo che esplode il 19 marzo 2014 che in poco tempo conta 4mila aderenti. Di poco inferiori (e di poco precedenti) sono le 3mila giapponesi di Tokyo che a febbraio mettono in scena il loro sciopero del sesso per evitare l’elezione di Yoichi Masuzoe, contestato per alcuni commenti sessisti espressi (nel 1989) durante un’intervista a una rivista per uomini. Yoichi Masuzoe vince ma il messaggio arriva forte e chiaro. Nel 2014 come nel 411 a.c. ai tempi della vittoria di Lisistrata.

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