Libia, rapiti quattro dipendenti italiani della ditta Bonatti

Quattro dipendenti italiani della ditta Bonatti sono stati rapiti in Libia, nella zona sotto il controllo delle milizie dell'Isis, a 60 chilometri da Tripoli, nei pressi del compound dell'Eni. Dal 15 febbraio l'ambasciata italiana è stata chiusa: ora l'Unità di Crisi della Farnesina è al lavoro e in contatto con le famiglie.

Nella notte tra domenica 19 e lunedì 20 luglio quattro italiani sono stati rapiti in Libia.


Paura, riserbo, attesa. La notizia del rapimento di quattro italiani in Libia ha squarciato la notte dei familiari dei dipendenti della società di costruzioni Bonatti che hanno ricevuto la telefonata dalla Farnesina. È successo a Zuaia, città sotto il controllo delle milizie dell’Isis che appoggiano il governo di Tripoli, a Nord-ovest del Paese nordafricano. Il rapimento dei quattro tecnici che lavorano presso alcuni impianti petroliferi nord-africani, per attività di sviluppo, trasporto e manutenzione, è avvenuto “mentre stavano rientrando dalla Tunisia”, rende noto l'agenzia di stampa locale Afrigate. La zona è quella di Mellitah, 60 km da Tripoli, nei pressi del compound dell'Eni, da dove parte Greenstream, il più grande metanodotto sottomarino in esercizio nel Mediterraneo, che collega la Libia alla Sicilia. 

La situazione è delicata: il 15 febbraio l’ambasciata d'Italia in Libia è stata chiusa, la Farnesina aveva invitato tutti i connazionali a lasciare il Paese. Ora però l’Unità di Crisi lavora pieno ritmo per seguire il caso. "È sempre difficile dopo poche ore capire la natura e i responsabili" del rapimento ha detto il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. "Nella zona ci sono anche stati dei precedenti. Per ora ci dobbiamo attenere alle informazioni che abbiamo e ottenerne di altre".

A margine della riunione del Consiglio Ue Affari esteri a Bruxelles, Gentiloni ha confermato che “stiamo lavorando con l'intelligence e oggi dobbiamo occuparci degli sforzi per recuperarli". Il ministro degli Esteri ha sottolineato che "ora siamo impegnati a intervenire per cercare di trovare le persone rapite e risolvere il problema". D’altra parte il rapimento "conferma la difficoltà di una situazione che resta instabile”.

Dopo la caduta di Gheddafi, il Paese nordafricano è stretto nella morsa di gruppi armati, tribù e bande che si contendono il controllo delle fonti energetiche. Per ben due volte, dall'inizio del conflitto libico, l'Eni ha fermato il gasdotto e fatto rientrare il proprio personale in Italia. Ora, forse, i tempi potrebbero maturi per una svolta: lo scorso 12 luglio, in Marocco, il governo di Tobruk - quello libico riconosciuto dalla comunità internazionale - e i leader di alcune fazioni politiche hanno siglato una nuova versione di un accordo di pace, grazie alla mediazione dell'inviato dell'Onu, Bernardino Leon. Ma sul testo manca ancora la sigla del governo di Tripoli, controllato dalle milizie islamiche, contrario a riconoscere come unico Parlamento riconosciuto quello di Tobruk. Tuttavia la porta non è completamente chiusa. “Se l'accordo verrà concluso in modo largo, l'Italia sarà impegnata come nazione leader in tutta l'attività di sostegno alla ricostruzione e al consolidamento della Libia” fanno sapere dal ministero degli Esteri.

Mentre a Bruxelles si discute alla ricerca di una soluzione politica per la Libia e alla Farnesina di lavora per trovare i quattro italiani, dall'Ufficio stampa della Bonatti c’è grande riserbo: l’azienda si affida all’Unità di Crisi, segue la vicenda, ma mantiene il riserbo sull'identità dei tecnici pur restando "in contatto con le famiglie".

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