Caffè defecato: dolce, raro, carissimo. La nuova corsa all'oro

C'è il caffè defecato dagli zibetti del sud est asiatico (ormai quasi introvabile) e quello defecato dagli elefanti thailandesi, il più pregiato al mondo. Storia di una nuova corsa all'oro. 

Il caffè defecato perde l'aroma amaro durante la digestione degli animali che intacca solo parte esteriore del chicco. © Nigel Spiers/123RF

 

La tazzina più cara al mondo? Quella di caffè defecato, che può costare dai 50 ai 70 euro. Da chi è stato defecato? Dagli elefanti thailandesi o dagli zibetti (gatti selvatici e carnivori) del sud est asiatico che vivono nelle isole di Sumatra, Bali, Giava e Sulawesi. Che sapore ha? Dolce, caramellato, con un retrogusto al cioccolato. Ottimo, a patto di non sapere da dove arrivano i chicchi.

Perché, come si diceva, i chicchi sono raccolti dagli escrementi degli animali che, dopo averli mangiati, ne digeriscono la parte esterna eliminando l’enzima che dà il sapore amaro senza intaccarne l’interno. Le varietà di questi pregiatissimi caffè vanno sotto il nome di Black Ivory Coffe (quella thailandese, digerita dai pachidermi) e Kopi Luwak (quella defecata dagli zibetti, ormai introvabile). 

 

Kopi Luwak: il caffè defecato dagli zibetti

La produzione di Kopi Luwak aveva dato vita a veri e propri allevamenti di zibetti. © Bhakpong Rattanasaroj/123RF

Defecato dagli zibetti costretti a vivere in condizioni vergognose, il Kopi Luwak, il primo dei caffè ricavato dagli escrementi, è ormai (quasi) fuori mercato: "Le condizioni sono pessime proprio come per i polli in batteria - denunciò Chris Sheperd, della Ong Trafic scatenando il dibattito -. Gli zibetti sono catturati e allevati in condizioni orribili: lottano per stare assieme ma sono divisi e devono patire una dieta povera e il sopravvivere in minuscole gabbie. La mortalità è altissima e la conservazione di alcune specie è già a rischio. È una spirale fuori controllo ma il pubblico non ne ha ancora preso coscienza mentre dovrebbe essere informato sulle condizioni in cui sono tenute decine di migliaia di animali”.

L’associazione People for the Ethical Treatment of Animals (PETA) verificò la situazione in Indonesia e nelle Filippine nel 2013 e scoprì veri e propri allevamenti al punto da convincere perfino Tony Wild, colui che ha diffuso in Occidente il caffè celebrato anche da Hollywood in Non è mai troppo tardi, la pellicola dove Jack Nicholson ne va matto, a sospendere le esportazioni e sostenere la campagna Cut the Crap (basta schifezze) per cessarne il commercio. Risultato: alla fine del 2013 i magazzini Harrod's lo hanno tolto dagli scaffali e ora è praticamente impossibile trovarlo.

 

Black Ivory Coffee: il caffè degli elefanti thailandesi        

Diversa la sorte del Black Ivory Coffee, che arriva dal Chiang Saen, nel nord della Thailandia, dove una ventina di elefanti che vivono nel Golden Triangle Asian Elephant Foundation mangiano 33 chili di bacche (mescolate a banane e riso) per produrne uno di caffè “addolcito”. Blake Dinkin, il 44enne canadese inventore del prodotto, si guarda bene dal subire la fine del collega Tony Wild, e per farlo destina l’8% delle vendite alla fondazione per la tutela dei pachidermi, assicurando che gli animali vivono nel migliore dei modi.

Peccato che per assaggiarlo si debba volare dall’altra parte del mondo (Thailandia, Singapore e Maldive) o aspettare che qualcuno si decida ad importarlo in Europa. Scenario più che probabile dal momento che il caffè defecato è ormai una sorta di nuova corsa all’oro: in Brasile c’è già chi sta testando gli opossum e l’uccello Jacus per la produzione della varietà dolce della bevanda amara per definizione. Non per sempre, a quanto pare. 

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