Ferite difficili, l’aiuto arriva dalla chirurgia plastica
Se ne parla poco, ma sono oltre 2 milioni i pazienti che ne soffrono. Dovute a diverse cause, le ferite difficili si possono curare. Con una diagnosi adeguata e l’intervento di uno specialista qualificato.
Si chiamano ferite difficili, ma quasi nessuno ne parla. Eppure colpiscono oltre 2 milioni di pazienti all’anno. E non riguardano solo persone anziane. Spesso sottovalutate, le ferite difficili sono quelle di origine traumatica che non si chiudono in 30 giorni e, in generale, quelle non guarite dopo 60 giorni: dopo questo lasso di tempo, la ferita diventa ulcera. Dovute a cause diverse, queste ferite possono guarire, grazie a nuove medicazioni e alle recenti conquiste della medicina rigenerativa e della tecnologia biomeccanica. Ne abbiamo parlato con il professor Claudio Ligresti (ligresti@iawc.it), specialista in chirurgia generale e chirurgia plastica e direttore dello IAWC (Italian Academy Wound Care).
Partiamo da zero. Quali sono le cause delle cosiddette “ferite difficili”?
Le cause sono diverse e molteplici. Possono essere lesioni acute dovute a traumi o ustioni – ad esempio dopo incidenti sul lavoro – o ferite post chirurgiche che non si chiudono o che si riaprono. Oppure ulcere dovute a una malattia, come le ulcere vascolari che dipendono da difetto di circolazione arterioso o venoso. O ancora, quelle metaboliche di tipo diabetico. Infine le ulcere da pressione, cioè le piaghe da decubito, che colpiscono una grossa fetta dei pazienti ricoverati in ospedale per un intervento chirurgico, o ischemia o rottura del femore.
Come si cura questo tipo di ferite? In che modo la chirurgia plastica può essere d’aiuto?
Purtroppo per anni la chirurgia plastica le ha trascurate, lasciando il compito di curarle al geriatra, al dermatologo o all’infermiere. In realtà, il chirurgo plastico si occupa sia della semplice medicazione sia dell’intervento di ricostruzione. L’ideale è lavorare insieme con gli altri professionisti delle diverse discipline. Prerequisito importante è la preparazione della ferita: le medicazioni fatte su un “terreno arido” non fanno effetto. Si prepara il fondo con tecnologie e apparecchiature a pressione negativa che permettono di bonificare la ferita, con bisturi ad acqua o a ultrasuoni. Successivamente si passa alla ricostruzione. È un lavoro a tappe: prima la ferita deve essere pulita e asettica, poi si procede alla cura vera e propria attraverso la medicina rigenerativa, con prodotti autologhi dello stesso paziente, gel piastrinico o plasma ricco di piastrine, che servono a “risvegliare” le cellule stanche o dormienti. Insieme a questi si può usare del grasso dello stesso paziente, che contiene derivati di cellule staminali e stimola la guarigione. Infine, c’è la chirurgia riparativa, attraverso tecniche standard, con innesti cutanei.
Dove vengono effettuate queste terapie e quali sono le strutture più all’avanguardia in questo campo?
L’ospedale spesso non basta perché non tutti hanno le dotazioni sufficienti. È importante affidarsi a un professionista esperto nella diagnosi e nella cura. Come strutture posso citare l’Iclas di Rapallo, il San Polo di Padova con il prof. Bassetto, la Sapienza di Roma con il prof. Scuderi, direttore della scuola di specializzazione in chirurgia plastica.
Quali sono i costi per il paziente? Queste terapie sono accessibili?
Certamente. Le cure sono convenzionabili e i costi sono coperti dal sistema sanitario nazionale.
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