Angela Merkel, la Regina di ferro dell'Europa ammaccata

Angela Merkel, cancelliera dal 2005 al suo terzo mandato in Germania, con una biografia piena di primati, è la Regina del rigore. La storia dirà se la sua intransigenza con la Grecia di Tsipras salverà o disgregherà la moneta unica e quindi l'Europa. 

Angela Merkel, cancelliera al suo terzo mandato è la donna più potente al mondo secondo Forbes.


Guida la Germania dal 2005. Il suo successo sembrava il preludio dello sbarco delle donne ai vertici del mondo. Quelli del suo primo mandato sono gli anni in cui sembra che, prima Ségolène Royal in Francia, e poi Hillary Clinton negli Stati Uniti, possano arrivare alla presidenza. Ma è solo un’impressione: l’unica a vincere, di nuovo, nel 2009 (e ancora nel 2013), è lei, Angela Merkel. Non c’è dubbio: la prima donna a ricoprire la carica di Capo di Stato di una grande potenza, il primo Cancelliere cresciuto nella Germania dell’Est, la più giovane eletta dal dopoguerra, ha almeno una marcia in più. Di tutti, donne e uomini. Arrivata al suo terzo mandato, la donna più potente al mondo secondo Forbes, è anche il poliziotto cattivo d’Europa, quello che in nome del rigore (il suo elettorato non avrebbe mai accettato che nel prezzo del debito fosse incluso il rischio del fallimento greco) ha contribuito a portare la Grecia sul lastrico. Se la sua fermezza disgregherà la moneta unica o la salverà, sarà la storia a dirlo. 

Nata vicino ad Amburgo il 17 luglio 1954, figlia di un pastore luterano e di un’insegnante di inglese e latino, si trasferì insieme alla sua famiglia nella Ddr ancora bambina. Lì studiò e divenne ricercatrice di fisica e militante in area socialista. Angela di cognome fa Kasner: Merkel è quello del suo primo marito. Il fatto è che nel 1989, subito dopo la caduta del Muro, quando 35enne entrò nel nascente movimento democratico Il popolo siamo noi, e poi nel nuovo Risveglio Democratico, tutti la conoscevano così. E Angela, il cui unico vezzo estetico è cambiare il colore della giacca dello squadrato tailleur che la contraddistingue, sa bene che la prima regola di un buon politico è essere riconoscibile. Nel 1990 entra nel Bundestag, si fa strada nella Cdu e nel 1998, dopo la sconfitta di Kohl alle elezioni federali, ne diviene il segretario generale, due anni dopo il presidente. Nel 2005 guida la grande coalizione Cdu-Csu, nel suo primo mandato da cancelliera, facendo un mezzo miracolo. Nel frattempo, nel 1998, ha trovato anche il tempo per sposarsi con Joachim Sauer, professore di chimica. 

Gira una storiella, sul suo passato nella Germania dell’Est: appassionata di nuoto, durante le lezioni in piscina, saltava dal trampolino dopo la campanella, troppo tardi. Ne gira anche un’altra, secondo cui il giorno della caduta del Muro andò a fare la sauna, come faceva ogni giovedì. Questo per dire che “la cancelliera di ferro” magari arriva un attimo dopo, ma non inverte la rotta, mai. “Berlino non prenderà in considerazione l’ipotesi di un terzo salvataggio per la Grecia prima dell’esito del referendum di domenica” ha risposto alle avance di Tsipras, il leader greco di Syriza che ha scaricato sul suo popolo la scelta politica se accettare o meno le condizioni imposte dall’Europa per ottenere altri prestiti e rinegoziare i debiti. Come a dire: Atene accetti le conseguenze delle sue scelte.

Le regole, in Germania, sono sacre. Tuttavia, alla festa dei 70 anni della Cdu, il 29 giugno, la Cancelliera ha detto che “l’Europa può esistere solo se è capace di fare compromessi” e visto che “se fallisce l’euro, fallisce l’Europa”, è necessario trovare un equilibrio tra solidarietà e responsabilità”. Insomma, “bisogna sempre trovare un compromesso” perché “nessuno può ottenere il 100%”. Ora però prende fiato. Ora la regina d’Europa che nel suo rigido balletto non ha mai scordato (anche) i 3,5 miliardi che Atene deve pagare alla Bce entro il 20 luglio - pena ripercussioni sulla solvibilità delle banche - e i 330 (miliardi) del debito greco nella pancia delle istituzioni finanziarie di mezzo mondo che, se Atene fallisse, si ritroverebbero col portafoglio pieno di carta straccia, aspetta il rush finale, lunedì 6 luglio, quando si saprà che cosa vuole fare il paese che a forza di tira e molla le ha ammaccato la corona. In patria, perché ogni volta che mostra il fianco, i sondaggi la puniscono, e all’estero, perché la sua rigidità ha suscitato la critica di chi inneggia alla solidarietà tra i popoli dell’Unione. 

Intanto, nella Atene capitale della nobiltà (culturale) e della miseria (finanziaria), si passa da una manifestazione per chi in Europa ci vuole restare (secondo i sondaggi la maggioranza) e chi invece se ne vuole andare. La mossa di chiudere le banche e mettere in fila chi un bancomat ce l’ha per ritirare i 60 euro giornalieri, rischia di ritorcersi contro quel leader che dopo un immobilismo di mesi (paralizzato anche da un governo talmente variegato che lo avrebbe fatto crollare al primo passo falso) ha tirato la corda fino all’ultimo. "Sappiamo che i nostri governanti hanno truffato l'Europa, ma non possiamo morire. Nessun creditore condanna a morte il suo debitore”, dice chi spera che dalla prossima settimana la Grecia farà da sé in un’autarchia che il mondo globalizzato di oggi difficilmente può permettersi. “Ci sono troppi parassiti, ammettiamo il disastro e ripartiamo”, ribatte chi pensa il contrario. Gente chiamata a scegliere tra un futuro misero e uno miserrimo. Se resta in Europa riceverà un sostegno miliardario per pagare i debiti, altrimenti si ritroverà a camminare nella terra dell’ignoto, attaccata a un continente che se prima la trattava da Cenerentola, da domani la ignorerà del tutto.

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