Panico a Torino: "mi hanno dipinto come un mostro, volevo salvare la folla"

Lo sfogo di Davide Buraschi, giovane lombardo interrogato per il caos scatenato a Torino durante la finale della Champions League "mi hanno dipinto come un mostro, volevo calmare la folla". 

Sabato 3 giugno, tra i 30mila tifosi juventini in piazza San Carlo, a Torino, si è scatenato il panico. © YouTube

Se a scatenare il panico in piazza San Carlo, a Torino, sabato 3 giugno, poco dopo il terzo goal del Real Madrid durante la finale di Champions League, sia stata una bravata o meno lo stabilirà la giustizia. Nel frattempo Davide Buraschi, 23enne di Cinisello Balsamo, il ragazzo a petto nudo e zaino sulle spalle ripreso dalle telecamere mentre agita le braccia si sfoga su La Stampa: "Ho sollevato le braccia per cercare di calmare la folla - spiega -. Volevo far capire che non c'era alcun pericolo, che bisognava stare tranquilli. Ma hanno fatto di me un capro espiatorio. Quelle immagini mostrate in tv e sui siti mi si sono ritorte contro".

Davide si agita e la folla, 30mila persone stipate l'una all'altra, reagisce, fraintende, si spaventa, crea il vuoto intorno a lui e dà il via a quell'onda di terrore su due gambe che ha travolto tutto e tutti. Un'onda che ha spedito 1527 persone all’ospedale, tra cui un bambino di sette anni di origini cinesi e una ragazza calabrese di 26 in gravi condizioni.

Davide Buraschi, 23 anni, è il giovane a torso nudo che cerca di calmare la folla. © YouTube

Sotto choc ma lucido, Davide racconta la sua versione, dopo averla ripetuta per ore agli inquirenti: "A un certo punto ho sentito un forte odore. Forse uno spray al peperoncino spruzzato incautamente, forse una fiala puzzolente di quelle che di solito si usano per gli scherzi di carnevale. Non lo so, so solo che intorno a me si è creato il vuoto. Io sono rimasto al centro, isolato": La sua ragazza, Sharon, a terra, preda di una crisi d'asma scatenata da "quell'odore nauseabondo". Preoccupato per lei l'ha soccorsa, poi si è occupato degli altri.

Il resto è cronaca: la folla che ondeggia, le transenne che cedono, i corpi che prima stavano uno al fianco dell'altro che si schiacciano uno sull’altro nel fuggi fuggi generale alla ricerca delle vie di fuga (mal) segnalate, in una corsa folle dove chiunque perde qualcuno o qualcosa. Le scarpe, le borse, i figli, gli amici. Le hall degli alberghi e i cortili dei palazzi che si trasformano in centri di primo soccorso, accoglienza, ritrovo. Le ambulanze che sfrecciano, le linee telefoniche che s'intasano.

"È stato tremendo, è stato come essere sepolti vivi, non riuscivamo a respirare tanta era la gente che ci era caduta addosso", per dirla con le parole di Angela, sorella maggiore di Kelvin, il bimbo di origini cinesi in prognosi riservata, che piano piano migliora. Un'adolescente sconvolta, che ha ancora negli occhi quei minuti di terrore, quando "all'improvviso abbiamo visto la gente correre, anche noi ci siamo messi a scappare ma siamo caduti, ci siamo rialzati e siamo inciampati di nuovo. A quel punto uno dopo l'altro ci sono venute addosso tante persone, non riuscivamo a vedere più nulla e io ero preoccupata per mio fratello che vedevo non riusciva a respirare". Per fortuna "un ragazzo di colore si è accorto di mio fratello e mi ha aiutato a tirarlo fuori mentre un altro ragazzo ci è stato accanto fino a quando non è arrivata l'ambulanza". Quel ragazzo di colore si chiama Muhamed ed è andato a trovare il piccolo Kelvin all'ospedale "Gli dobbiamo tutto - racconta la mamma, una donna in attesa, con le lacrime in tasca - È stato un momento bellissimo, ci ha abbracciato forte forte".

E ora, mentre la giustizia fa il suo corso, la città che si scopre vulnerabile e con la paura a fior di pelle e diventa il simbolo che qualcosa è cambiato per sempre, che il virus della psicosi da terrorismo è entrato in ciascuno di noi. Che basta un rumore sospetto, una “bravata” per scatenare l’isteria e intravedere il nemico. Che la paura di un attentato può fare danni quasi quanto un attentato vero.

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