Burqa: dall’obbligo al divieto (dell’Isis)

L'ultima direttiva dell'Isis è il divieto d'indossare burqa e niqab nelle zone militari di Mosul. L'ordine vuole evitare che altre donne coperte sparino ai comandanti. 

L'Isis ha vietato alle donne d'indossare il burqa e il niqab nelle zone militari per ragioni di sicurezza. © Michele Alfieri/123RF

Chi di burqa e niqab ferisce, di burqa e niqab perisce: dopo averli resi obbligatori, ora l’aspirante Califfato vuole vederci chiaro e mentre perde terreno e popolarità, cambia costumi. L’ultima è che burqa e niqab - gli abiti imposti alle donne che non lasciano scoperti nemmeno gli occhi - sono vietati nei luoghi sensibili per ragioni di sicurezza: "Il normale dress code imposto è molto rigido, le donne devono essere vestite di nero dalla testa ai piedi, ma da ora niqab e burqa sono vietati quando entrano in zone militari o centri di sicurezza di Mosul” scrive Iran Front Page, il sito che ne dà notizia precisando che il nuovo ordine vuole arginare l’iniziativa di alcune donne che, sfruttando l’anonimato, hanno ucciso più di un comandante

Resta da capire come la prenderanno le (migliaia) di poliziotte dell'Isis riunite nella brigata al Khansaa, dal nome di una poetessa cara a Maometto. Signore che per lo più sono muhajirat, straniere - egiziane e magrebine, afgane, turche, cecene ma anche inglesi e francesi -, hanno tra i 20 e i 50 anni e ogni giorno se ne vanno in giro per i territori dell’Isis armate di fruste e Kalashnikov, acidi e dentiere alla ricerca di altre donne che manifestano comportamenti “contrari all’Islam” per tutelare “il buon costume”. Primo tra tutti indossare in maniera scorretta il burqa. “Se mostrano gli occhi, picchiatele fino alla morte” è l’ordine ricevuto da Manar, una giovane siriana che prima di entrare nelle fila del plotone (salvo poi pentirsene) studiava Pedagogia all'università di Homs. 

Certo, la direttiva riguarda le zone militari, ma la crepa è ormai aperta. E visto come le donne mal sopportano il dress code imposto è facile immaginare che sarà solo l’inizio. Appena un mese fa, per festeggiare la liberazione di Manbij, strategica cittadina siriana al confine con la Turchia, le donne hanno bruciato il vestito in piazza mostrando volti (finalmente) felici. Stessa cosa era successa ad Abu Qalqal, ad Aleppo. E stessa cosa succede alle donne che scappano dall’Isis e, una volta passato il confine, si spogliano della paura, dell’oppressione e dell’abito, come ha documentato il cameraman Shervan Derwish e raccontato il giornalista freelance Jack Shahine in quel servizio che ha ribattezzato "Freedom Portrait". 

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