Valentino Talluto: condannato a 24 anni "l'untore" di Acilia

Archiviata l'epidemia dolosa: secondo i giudici, Valentino Talluto, condannato a 24 anni per aver trasmesso l'Hiv a 33 donne e un bambino, non voleva trasmettere il virus: è stato superficiale.
 
Alla lettura del verdetto, le vittime di Valentino Talluto si sono abbracciate. © YouTube

Ventiquattro anni di carcere. Per lesioni gravissime, non più per epidemia dolosa. Nel condannare Valentino Talluto, la Terza Corte d’Assise di Roma ha ridimensionato l'accusa: ha punito l'imputato per aver contagiato con l'Hiv 33 donne e un bambino attraverso rapporti non protetti ma lo ha sollevato dal dolo. Quindi dai due anni di isolamento diurno che aveva chiesto il pm Elena Neri.

Nell'aula bunker di Rebibbia, la sentenza all’imputato Valentino Talluto, 32 anni, ormai noto come "l'untore di Acilia", è arrivata dopo più di dieci ore di camera di consiglio. Lui, in camicia, giacca e jeans, non si è praticamente mai mosso dalla cella interna. Non ha toccato né cibo, né acqua. Nella stessa aula c'erano anche le sue ex ragazze, quelle condannate per un rapporto senza preservativo. Donne che, a volto coperto, non si sono perse un'udienza del processo. Donne che in un altro contesto si sarebbero guardate male, donne che in quell'aula, letto il verdetto, si sono abbracciate: “È la nostra piccola grande vittoria. Giustizia è fatta, Ora ci unisce la gioia e la voglia di continuare ad andare avanti”. 

Giustizia è stata fatta, insomma, anche se i giudici non hanno riconosciuto il dolo, che invece aveva sottolineato la requisitoria della pm sostenendo che l'imputato “Non ha mai collaborato, ha reso dichiarazioni false. Il suo era un modo per seminare morte”. La sua, hanno concluso i giudici, era semplicemente superficialità.

La stessa che ha supposto Giada, la donna che dal 2014 è la sua fidanzata, intervistata da Vanity Fair: “Voi giornalisti lo avete condannato ancora prima dell’inizio del processo. Dove sono le prove?”. Alle donne contagiate suggerisce “di dire la verità, ammettere che si sono divertite e hanno avuto dei rapporti sessuali non protetti. Valentino non ha mai costretto nessuna di loro, non è mai stato violento”. Ammette che non informandole di essere sieropositivo “ha sbagliato, moralmente aveva il dovere di prendere precauzioni”. Se non l’ha fatto è perché “Lui non si sentiva malato, non ne aveva la consapevolezza, non ha mai avuto un raffreddore. Ha sottovalutato il certificato medico perché non conosceva la malattia”. Insomma, come ribadiscono gli avvocati Tiziana De Biase e Maurizio Barcaè stato un comportamento irresponsabile dal punto di vista colposo ma non voleva trasmettere il virus. La sua è stata leggerezza e stupidità”.

Innegabile, tuttavia, che “Talluto non ci aiutati, non ci ha detto nemmeno un cognome delle ragazze di cui sapevamo solo i nomi. Si è sempre chiuso dietro silenzi e bugie”, come aveva spiegato nell'ultima requisitoria la pm. Ad oggi, infatti, non si sa con certezza il numero delle sue vittime, tuttavia gli sono stati contestati, tra il 2006 e il 2015 più di 3000 rapporti sessuali a rischio. Con donne agganciate su internet, nome in codice “Harty Style”: prima su Facebook, poi su Badoo e Netlog infine su Chatta e Ciao Amigos, chat a luci rosse. “Talluto - ha aggiunto la pm - ha approfittato del fatto che tutte le ragazze conosciute in chat si fossero innamorate di lui, si fidavano e si sentivano rassicurate”. Consapevole di essere infetto dal 2006, non si premurava di evitare il contagio usando il preservativo o seguendo la profilassi. Anzi: la sua condotta “era improntata all’ossessiva, spasmodica e patologica ricerca di intrattenere rapporti sessuali promiscui con chiunque frequentava locali per scambisti”. Da qui aveva richiesto il massimo della pena.


Valentino Talluto: la sua versione

Alla fine di settembre, turbato, emozionato, spesso in lacrime, Valentino Talluto aveva dato la sua versione dei fatti: "Sono stato descritto come mostro ma chi mi conosce sa benissimo che non sono una cattiva persona. Ciò che è stato scritto su di me non è vero". Su di lui, il 32enne di Acilia, è stato scritto molto e molto si scriverà. Complici le testimonianze delle vittime - una resa a Le Iene, un'altra al Corriere della Sera -, e complici le indiscrezioni dei suoi interrogatori, nel carcere di Regina Coeli dove, messo alle strette dal pm, aveva dichiarato: "Ho taciuto per vigliaccheria". Quando i giochi si sono fatti seri, davanti ai giudici della Corte d'Assise, Talluto aveva corretto il tiro: "Sono anch’io segnato dall’Hiv e non mi sarei mai permesso di fare del male a qualcuno. In realtà non mi sono mai nascosto e tutte le ragazze mi conoscono con il mio nome e conoscono anche i miei amici".


Le donne contagiate

Loro, le vittime, la pensano diversamente. Loro sono donne che erano vergini e credendo di trovare l’amore, hanno trovato la malattia. Donne che erano mogli e cedendo a una scappatella si sono condannate. Perfino una donna incinta che con quel rapporto ha condannato il suo piccolo che oggi ha 3 anni. Donne di cui lui non ha memoria, di cui non ha tenuto il conto: “Ho avuto rapporti non protetti anche con cinque donne diverse ogni mese. Molte non le ricordo nemmeno”, dichiarava dal Regina Coeli, “saranno quindici, venti. Meno di trenta... di più? Non so, tra le 40 e le 50” e di fronte all’insistenza degli inquirenti ansiosi di risalire ai nomi delle donne nel tentativo di spezzare la catena del contagio, aveva risposto: “Non faccio una lista come la spesa…”. E non solo donne: ci sono perfino tre ignari fidanzati contagiati da donne diventate, a loro volta, inconsapevoli untrici.


Valentino, untore consapevole? No secondo i giudici

Alla fine i giudici della Terza Corte d’Assise di Roma, presieduta da Evelina Canale, gli hanno creduto. Talluto si era difeso dicendo che "se avessi voluto contagiare più persone possibile, avrei cercato rapporti occasionali nei locali tentando di mantenere l’anonimato". Già al pm Francesco Scavo, nel carcere Regina Coeli aveva dichiarato: "Ho agito con leggerezza", "con superficialità'”. Da Rebibbia aveva aggiunto: "Non è vero che ho rifiutato la terapia. Non mi è mai stata prescritta e quando è stata necessaria l'ho seguita. Con la mia attuale compagna ho sempre preso la terapia dal gennaio 2015, prima che iniziasse tutto questo".

Insomma, Valentino, figlio di una madre tossicodipendente morta di Aids e nipote di un imprenditore che si è preso cura di lui, un diploma da ragioniere e un passato da contabile, aveva smontato le accuse nei suoi confronti, scaricando le proprie responsabilità sui media: "Quello che è stato scritto su di me non è vero. Sono innanzitutto una persona, perché questa cosa non è stata sottolineata finora. Mi è stato dato dell’untore ma io sono un ragazzo con un cuore e sentimenti affetto da hiv, ma non diverso dai presenti". E ancora: "Penso che non sia giusto dare false notizie per occupare le prime pagine e creare un caso, il mio caso. Non credo che i mass media possano influire sul processo ma certamente hanno il loro peso". Descrisse gli ultimi anni (è in carcere dal novembre 2015) come "terribili", segnati dall'angoscia di aver vissuto "il trauma di sapere che persone che conosco hanno la mia stessa patologia e pensano che sia colpa mia".

Infine Valentino aveva ringraziato, "la mia fidanzata, i miei amici e familiari che sono rimasti al mio fianco" e sottolineato: "sono una persona buona e tranquilla che non ha mai voluto fare del male a qualcuno". Di male ne ha fatto, senza volerlo, hanno stabilito i giudici.

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