Chi era Boris Giuliano? Il capo dei Giusti, un padre, un marito

“Boris Giuliano, un poliziotto a Palermo” è la miniserie prodotta da Rai Fiction e Ocean Productions in onda su Rai 1 il 23 e il 24 maggio per ricordare un eroe dimenticato.

La mini-serie Rai è diretta da Riky Tognazzi e interpretata da Adriano Giannini nei panni di Boris.


Nel giorno dell’anniversario della Strage di Capaci che uccise Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Rai 1 presenta all’Italia Boris Giuliano, un poliziotto a Palermo, un uomo che cambiò il Paese, ma da quel Paese venne (quasi) dimenticato. Ecco perché la mini-serie diretta da Ricky Tognazzi, interpretata da Adriano Giannini e prodotta da Rai Fiction insieme a Ocean Productions è una scelta giusta. Come giusto era il vice questore Boris Giuliano, capo della Squadra Mobile di Palermo passata alla storia come la “Squadra dei Giusti”. Un team di uomini retti, i migliori in circolazione, messi insieme uno alla volta, che per la prima volta e con un altro sguardo, guardò in faccia la mafia, non senza pagarne le conseguenze, ma non senza ispirare i Giusti che vennero dopo.

Il ricordo della moglie di Boris Giuliano

Giorgio Boris Giuliano “aveva il suo stile” come ricorda in un video la moglie, Ines Maria Leotta. “Voleva essere sempre presente, sul territorio: andava a piedi, parlava con le persone. Era un uomo dello Stato e ci credeva nel profondo, il suo coraggio rasentava la temerarietà”. Come quella volta, ricorda sempre la moglie, che disinnescò una bomba pur non essendo un artificiere. “Il tutto senza credere di niente di eccezionale: la storia di questa città sarebbe stata diversa se ciascuno avesse fatto il proprio dovere”. Un uomo capace poi di vestire i panni di marito e padre, ogni volta che metteva piede in casa: “Dimenticava o si sforzava di dimenticare tutto quello che avveniva fuori. Era allegro, spiritoso, cercava di evidenziare il lato comico delle cose, sapeva ridere di se stesso ed essere un padre straordinario: nonostante la fatica aveva la forza di giocare con i figli. Era unico”.

Dalla vita al set

È stato un vero eroe dei nostri tempi" tira le somme Ricky Tognazzi, il regista che più volte ha raccontato la criminalità organizzata con “storie d’ingiustizia e di coraggio. Il coraggio di uomini che hanno sfidato a viso aperto il malaffare, sacrificando la loro stessa vita per un’ideale di libertà. Boris Giuliano può essere considerato, a buon diritto, il padre di molti di loro e in alcuni casi l’ispiratore".

La sua vita fu spezzata da 7 pallottole che gli arrivarono alle spalle, mentre stava pagando il caffè in un bar di via Di Blasi, a Palermo. Era il 21 luglio 1979 la pistola era quella di Leoluca Bagarella, uno degli assassini più spietati di Cosa Nostra che negli anni metterà la sua firma alla strage di Capaci e all’orribile morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, sciolto in una vasca di acido nitrico. Quel giorno l’Italia ha perso un grande poliziotto e la sua famiglia un grande uomo. "Un’esplosione di allegria. Gioviale, simpatico e alla mano. Segugio senza eguali, investigatore innovativo, rispettato e temuto. Uomo gentile, intelligente, capace e integerrimo. Vero nemico della mafia" per dirla con le parole di Pietro Grasso, il presidente del Senato che l’ha conosciuto nel 1970 e da lui ha ricevuto i passaporti per partire per il viaggio di nozze. 

La vita di Boris Giuliano: "un autentico mito"

Nato in provincia di Enna, nel 1930, cresciuto per un po’ in Libia al seguito del padre, sottufficiale della Marina Militare, e poi a Messina, tra i libri di scuola al campo di pallacanestro sognando il concorso di Polizia, Boris diventa operativo nel 1962. Non si accontenta della sua formazione e così vola negli States per specializzarsi alla FBI National Academy, che anche se in Italia e soprattutto in Sicilia in pochi lo volevano ammettere, Cosa Nostra era una cosa seria e come tale andava trattata. Fu lui il primo a intuire i legami con la politica, fu lui, leader e stratega a rivoluzionare il modo di condurre le indagini costruendo le basi per quel maxiprocesso del 1986 istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.    

Fu “un autentico mito per gli uomini che ebbero la fortuna di lavorargli accanto e anche per i poveri della città che si precipitarono in migliaia ai suoi funerali”, ricorda ancora Grasso. Un uomo che non ha avuto paura di dar fastidio e tenere testa ai corleonesi e alle loro guerre contro le altre famiglie mafiose palermitane. Sono gli anni in cui muoiono magistrati e giornalisti e quelli in cui Boris e la sua squadra, in collaborazione con gli inquirenti d’Oltreoceano, non fanno mezzo passo indietro. Fino alla morte.       

"Ci siamo chiesti più volte, durante la scrittura - fa sapere Tognazzi - che cosa spingesse un uomo a rischiare tanto, ma soprattutto dove trovasse la forza di andare avanti, nonostante gli orrori che si consumavano intorno a lui. La risposta è semplice. La passione per il suo lavoro, il senso del dovere e la ricerca della verità, insieme all'amore per la sua famiglia e per gli uomini della sua squadra di cui si sentiva fortemente responsabile, erano più forti della paura”. A confermare le intuizioni del regista ci sono le “note severe” del figlio Alessandro: “mentre giravamo è stato fondamentale - confida Tognazzi -. Noi registi tendiamo a cercare emozioni, a colpire sotto la cintola e invece Alessandro ci riportava sempre all'essenza della verità. Se sono riuscito in questo, lo devo soprattutto alla generosità di questo confronto”. Un confronto serrato che il set ha costruito anche con la moglie Ines Maria Leotta (interpretata da Nicole Grimaudo), con Selima e Manuela, le altre due figlie del poliziotto rivoluzionario, dimenticato e ora, finalmente, raccontato in prima serata il 23 e il 24 maggio, in occasione della Settimana della Legalità.

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