Rania di Giordania, le carezze della Regina ai profughi

La moglie del re Abdullah II visita il campo profughi di Lesbo. Dopo abbracci e carezze, parole ai potenti: "I rifugiati non sono numeri", "è una crisi eccezionale che richiede una risposta eccezionale".

La mobilitazione di Rania di Giordania, per l'emergenza migranti va avanti da mesi.


Ascolta i racconti dei profughi, stringe le mani ai migranti, abbraccia le donne, asciuga le lacrime dei bambini con dolci carezze: la visita a sorpresa di Rania di Giordania al campo profughi di Kara Tepe, a Mitilene, sull'isola greca di Lesbo, arriva a pochi giorni da quella di Papa Francesco e fa (quasi) altrettanto rumore. Perché la Regina è nel cuore della gente, perché la sua mobilitazione sull’emergenza migranti non perde un colpo e perché le sue origini palestinesi la trasformano (anche se per un attimo) in una di loro. 

Sostenitrice dell’Internationl Rescue Commettee, organizzazione umanitaria che le ha rivolto l’invito, Rania si è mescolata tra la gente e poi ha rivolto parole ai potenti: “I rifugiati non sono numeri, sono esseri umani come voi e me, con l’eccezione che hanno visto orrori indicibili e sperimentato tragedie impensabili e hanno rischiato tutto, le loro famiglie, i loro beni, solo per cercare la sicurezza”. E ancora: “Questa è una crisi eccezionale che richiede una risposta eccezionale, una risposta collettiva, fondata sui valori e sulla condivisione delle responsabilità e non sulla loro elusione”. E se la Giordania, secondo le stime ufficiali (al ribasso), ne ha già accolti 600mila, la Regina non ha dubbi: "Dobbiamo trovare alternative legali e vie effettive per la sicurezza, e anche cercare soluzioni a lungo termine più sostenibili a questa crisi”. 

Una crisi che la Regina Rania, nelle vesti di ambasciatrice Unicef, affronta da tempo e in tutti i modi possibili. “Date una casa ai rifugiati, non chiudete la porta ai profughi” aveva detto a settembre 2015, ricevendo un premio a Berlino per il suo impegno; "non c'è nulla di islamico nei terroristi", il cui scopo "è distruggere il mondo civile" e pertanto "il nostro futuro", di tutti popoli, "e i suoi valori sono sotto attacco", aveva dichiarato a dicembre in occasione della laurea honoris causa all'Università La Sapienza di Roma; "il piccolo Aylan sarebbe potuto diventare un dottore”, aveva risposto su Twitter alla copertina provocatoria di Charlie Hebdo che, invece, lo aveva immaginato come un molestatore. “Dobbiamo riportare l'umanità e la compassione di nuovo al centro del discorso perché la crisi dei profughi riguarda le persone, non i confini e le barriere” cinguetta poche ore dopo la sua visita a Lesbo, chiedendo a tutti di svestire i propri panni e mettersi in quelli di chi scappa dalle guerre e viene accolto dai gas urticanti. 

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