La voce, ovvero il suono del potere

Uno studio della San Diego University ha confermato le teorie dell'oratoria che Cicerone elaborò duemila anni fa: chi vuole apparire potente deve sfruttare la voce. Vedi Margaret Thatcher che ingaggiò Kate Fleming per farla risuonare meno stridula.  

Margaret Thatcher ingaggiò Kate Fleming dal 1972 al 1976 per correggere la sua voce.


Dev'essere alta ma armoniosa, forte, chiara e, soprattutto, mai stridula. Perché la voce non deve solo comunicare le parole una in fila all'altra ma, soprattutto, deve trasmettere emozioni. Duemila anni fa c'era Cicerone a dettare le regole dell'oratoria. Oggi c'è lo studio condotto dal dipartimento di psicologia della San Diego University e pubblicato su Psychological Science. Risultato, dai tempi dell'Antica Roma ad oggi la solfa è sempre la stessa: chi vuole apparire più potente deve sfruttare (anche) la voce. Lo sapeva bene Margaret Thatcher che, per correggere la sua che era stridula, quasi bambinesca, ingaggiò Kate Fleming, la specialista che fece grandi gli attori Laurence Olivier e Peter O’Toole. Le lezioni cominciarono nel 1972 e andarono avanti fino al 1976 quando la Lady di Ferro divenne segretario del partito e, insieme alla carica, conquistò il tanto agognato potere

Insomma anche se la propria voce non si può scegliere, ci sono varie tecniche per imparare a modularla. Anche perché, come spiega Ciro Imparato - psicologo che da 25 anni si occupa della materia, autore del modello FourVoiceColors per rieducare la voce - "quando sarete più consapevoli della vostra voce, vi sembrerà di aver scoperto un tesoro - spiega -. Sarà come avere più soldi in banca, sarà come parlare una nuova lingua in poche ore. Vi sentirete molto più sicuri di voi stessi". Di certo, evidenzia lo studio della San Diego University, è più facile "controllare le parole e la postura" mentre "la voce è una finestra che permette di avere un quadro chiaro di chi abbiamo d’avanti" ha sottolineato Sei Jin Ko, la dottoressa a capo dello studio americano. Un po' come a dire: parlami e ti dirò da dove vieni e dove andrai. "La leadership ha un suono preciso - ha aggiunto la dottoressa Ko - e, come fossero attori, succede che i politici si rivolgano ai coach vocali per migliorare il suono della propria voce e mostrare maggiore autorevolezza e meno incertezze". Nello specifico, quella del potere ha un suono forte e costante, quasi monotono, mentre intonazioni più basse e incerte suggeriscono un’appartenenza a ruoli inferiori


"Quando parliamo non usiamo una sola voce - spiega Imparato - ma sei diverse delle quali non siamo consapevoli ma che trasmettono emozioni (quattro positive e due negative)". E così come chi parla si serve dell'inconscio, anche chi ascolta si affida al giudizio irrazionale: "Il grande potere che contraddistingue la voce - continua Imparato - è che arriva direttamente all’inconscio del nostro interlocutore, senza filtri, senza razionalizzazione". Il problema è che ognuno di noi "è caratterizzato da uno stile di comunicazione prevalente che tenderà ad usare in ogni circostanza limitando così le sue potenzialità comunicative (per esempio, chi ha come stile prevalente la simpatia avrà facilità a conoscere persone nuove ma difficoltà ad entrare nel profondo)". Ecco perché imparare a padroneggiare la propria voce migliora la qualità della propria vita.
  
Vero è che gli uomini sono più abili delle donne nell'arte di camuffarne il suono: "quando si tratta di assumere un ruolo di potere - ha spiegato la dottoressa che ha coinvolto 161 studenti universitari in due diversi esperimenti - abbiamo riscontrato una maggiore accuratezza verso tonalità più alte nel 77% degli uomini rispetto al 69% delle donne, mentre non abbiamo registrato alcuna differenza di genere nelle voci di soggetti che appartenevano a posizioni gerarchiche di livello inferiore". Probabilmente questa sottile differenza "dipende anche da fattori storici e culturali - ha spiegato la dottoressa -. Da sempre gli uomini hanno ricoperto gerarchie più elevate delle donne e, quando si tratta di voler trasmettere una posizione di potere, usano tonalità a loro più familiari".

In ogni caso, come è emerso anche all’ultimo congresso della Acoustical Society of America, la voce convince (anche) più delle parole e i politici se ne sono sempre serviti per influenzare i cittadini. "Le ricerche condotte negli ultimi quarant'anni - conferma Imparato - hanno attestato che la voce influenza per circa il 38% la percezione che le persone hanno della nostra credibilità". Rosario Signorello, a capo dell’indagine che ha passato al setaccio la voce dei politici di vari paesi, ha studiato la voce di Umberto Bossi, leader della Lega che, dopo l’infarto del 2004, perse il tono che la distingueva. “L’infarto rese la voce più piatta ed aspra - ha spiegato il ricercatore - trasformando il leader autoritario agli occhi dei suoi seguaci in un leader benevolo". 


Sempre secondo le conclusioni di Signorello, gli italiani sembrano preferire leader con un tono di voce più basso, a differenza dei francesi che invece, amano quelle più alte: ciò significa che "gli italiani sembrano volere leader più dominanti - ha precisato Signorello - i francesi, invece, più competenti". Anche le voci di leader carismatici del calibro di Timothy Cook, chief executive alla Apple, e di Steve Jobbs sono finite sotto la lente dei ricercatori confermando le intuizioni che erano vere già più di duemila anni fa: "gli oratori esperti usano la voce come uno strumento di persuasione e una voce carismatica può essere un dono della natura – ha concluso Signorello – ma, nel caso in cui non lo sia, si può imparare a modularla meglio sfruttando un processo di delessicazione con sui è possibile eliminare i difetti e controllare la voce".

D'altra parte, come sottolinea Imparato, "la naturalezza che abbiamo nel parlare, camminare, usare un certo linguaggio è frutto delle nostre esperienze, del nostro apprendimento. La spontaneità, direbbe Nietzsche, è l’ultima acquisizione".


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