Divorzio: il tenore di prima non basta più a decidere l'assegno

La Corte Costituzionale reinterpreta la norma: d'ora in poi, a decidere l'importo dell'assegno di mantenimento, non è più solo il tenore di vita goduto mentre si viveva sotto lo stesso tetto ma va bilanciato con altri parametri.

Secondo il verdetto, il dogma del tenore di vita è opinabile e anacronistico.


La pacchia è finita. Un matrimonio dorato non si traduce (più) in un divorzio con assegni da capogiro. A deciderlo la Corte Costituzionale, presieduta da Alessandro Criscuolo, che ha messo nero su bianco la corretta interpretazione della giurisprudenza della Cassazione su una questione delicata e spinosa che interessa migliaia di italiani alle prese con gli ex. La novità è di quelle da far tremare i vetri degli studi degli avvocati: d'ora in poi, a decidere l'importo dell'assegno di mantenimento, non è più solo il tenore di vita goduto mentre si viveva sotto lo stesso tetto ma va di volta in volta bilanciato con altri parametri. Vedi la condizione e il reddito dei coniugi, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla formazione del patrimonio comune, la durata del matrimonio e le ragioni della decisione. "Tali criteri agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto" scrivono i giudici e possono "valere anche ad azzerarla". Ma andiamo con ordine. 

Tutto, come sempre in questi casi, parte dalla cronaca: un coppia di toscani benestanti senza figli si scioglie dopo due anni di matrimonio. Il bottino è ricco: proprietari di due appartamenti a Capo Verde dove trascorrevano qualche mese a spese del marito; 56 immobili lui e un reddito di 56 mila euro; un'attività di dentista lei con sette dipendenti e due collaboratrici esterne oltre ad alcuni  immobili a Firenze e in altre località, nonché una fattoria con cavalli e risparmi consistenti. Il 7 novembre 2012 arriva la sentenza definitiva di separazione giudiziale con liquidazione di un assegno mensile di 750 euro rivalutabile annualmente da pagare alla moglie. Il marito non ci sta e  si appella al Tribunale di Firenze: la signora è autosufficiente, quindi non ha bisogno di alcun assegno. A questo punto non ci sta lei, che rincara la dose pretendendo una somma non inferiore a 5.000 euro al mese così da poter mantenere il tenore di vita dei tempi che furono invocando l’applicazione dell’art. 5, sesto comma, della legge n. 898 del 1970 (Fortuna-Baslini), come modificato dall’art. 10 della legge n. 74/1987. 

Peccato che i giudici della Consulta, partendo da questo punto, abbiano deciso di valutare la presunta incostituzionalità della norma per arrivare all'odierno verdetto che chiarisce una volta per tutte l’intera questione: non è affatto vero che l'articolo in questione debba "necessariamente garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio". Il dogma del "tenore vita" è opinabile, può rivelarsi anacronistico e nel bilanciamento con tutti gli altri criteri il giudice può arrivare a conclusioni diametralmente opposte.

D'altra parte, parlando di divorzi milionari rivisti e corretti (al ribasso), basti quello tra Veronica Lario,  al secolo Miriam Bartolini, e Silvio Berlusconi: prima i tre milioni al mese che il leader di Forza Italia le versò nel periodo della separazione si abbassarono a due per decisione della sezione famiglia della Corte d'Appello di Milano; poi, la stessa Corte bocciò il reclamo dell'ex first lady contro il provvedimento che dimezzava il consistente appannaggio mensile, riducendolo a un milione e 400 mila euro. Risultato: Veronica Lario, al secolo Miriam Bartolini, ha dovuto rinunciare a 36 dei 108 milioni che l'ex marito le aveva intanto dovuto versare. Da oggi in avanti, può succedere di tutto.

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