Suffragio universale femminile: la battaglia nel mondo

Il 2 giugno il suffragio universale in Italia compie settant'anni: un anniversario per ripercorrere il (difficile) cammino delle donne alle urne nel mondo.    

2 giugno 1946: il suffragio universale in Italia porta, per la prima volta, le italiane alle urne. Ma nel mondo in molte ancora devono attendere.


Anche se fosse solo una, la donna a cui è negato il diritto al voto, sarebbe comunque una di troppo. Settant’anni dopo quel 2 giugno 1946 che in Italia aprì le urne anche al gentil sesso, di passi avanti ne sono stati fatti parecchi ma il giorno in cui (sulla Terra) saremo tutti uguali non è ancora arrivato. Perché se nel 2015 anche quelle dell’Arabia Saudita hanno potuto partecipare alle elezioni sia da votanti che da elettrici, quelle libanesi devono ancora dimostrare di aver ricevuto un’istruzione di base (non richiesta agli uomini) mentre quelle algerine devono avere almeno 62 anni. E ancora: se a Hong Kong il suffragio universale chiesto da Pechino per le elezioni del 2017 è stato bocciato la scorsa primavera, nel Brunei nessuno (né uomini né donne) ha diritto di voto dal 1962.

Voto alle donne: un cammino lungo tre secoli

I primi passi per la conquista dei diritti li hanno mossi le svedesi: correva l’anno 1718, già pagavano le tasse e facevano parte delle corporazioni cittadine e furono chiamate al voto. Il suffragio universale arrivò secoli dopo, ma questa è un’altra storia. Nel 1755 fu il turno della Repubblica Corsa, ma il diritto fu revocato alle donne nel 1769, quando l’isola fu annessa alla Francia. Stato in cui, nel 1791 la rivulzionaria Olympe Des Gouges pubblicò la Declaration des droits de la femme et de la citoyenne, pretendendo lo stesso trattamento per tutti. Manifesto che precede di un anno A Vindication of rights of Women (La rivendicazione dei diritti delle donne) data alle stampe a Londra da Mary Wollstonecraft - attivista convinta che senza l’emancipazione della donna non è possibile l’emancipazione dell’umanità - e destinata ad animare il movimento femminista inglese dell’Ottocento sfociato poi nelle Suffragette, e anno di Über die bürgerliche Verbesserung der Weiber (Sul miglioramento civile delle donne) pubblicato a Berlino da Theodor Gottieb von Hippel nel tentativo di rivendicare uguali diritti economici, civili e politici nell’ottica di "una trasformazione totale e felice della società". 

Tanto rumore per nulla, però, perché alle intenzioni non seguono i fatti. Nel 1867 ci prova il filosofo ed economista britannico John Stuart Mill: propone un emendamento a favore del voto alle donne ma ottiene 3 “sì” e 196 “no”. Oltreoceano, però, qualcosa si sta muovendo: nel 1848, a Seneca Falls, nello stato di New York, Elisabeth Cady Stanton e Lucretia Mott chiedono la prima convenzione sui diritti delle donne, iniziativa esportata poi a Rochester e l’anno dopo a Salem. Sia come sia, nel 1869 le signore del Wyoming sono le prime ad essere convocate ad esprimersi e nel 1887 il sindaco di Argonia, in Kansas si chiama Susanna Madora Salter: per quanto (poco) rimase al potere, fece (e molto) parlare di sé e spianò la strada a Elizabeth Yates, che nel 1893 fu eletta prima cittadina di Onehunga, nell’impero britannico in Nuova Zelanda e a Elizabeth Garrett Anderson, che nel 1908, ad Aldeburgh ricoprì per prima la carica di sindaco del Regno Unito. 

Diritto di voto alle donne: dalla Nuova Zelanda all’Arabia Saudita

I tempi sono maturi perché la rivoluzione abbia inizio e mentre nel Regno Unito le Suffragette si danno da fare per ottenere parità di diritti, nel 1893 la Nuova Zelanda concede il suffragio universale: è il primo stato al mondo in cui tutti, uomini e donne, sono chiamati a votare. Nove anni dopo è il turno dell’Australia e nel 1906 l’ondata rivoluzionaria sbarca in Europa, precisamente nella Finlandia dell’allora impero zarista dove, un anno prima, la Lega delle donne lavoratrici aveva organizzato centinaia di incontri e mobilitato decine di migliaia di persone, minacciando l’ennesimo sciopero generale nel caso in cui le donne fossero state escluse dalla tornata elettorale.

Alla spicciolata, tra la prima metà del Novecento e dopo la Seconda Guerra Mondiale le donne di (quasi) tutto il mondo acquistano il diritto di voto. I paesi più virtuosi sono stati: Norvegia (1913) Danimarca e Islanda (1915), Canada (1917), Irlanda, Germania, Polonia, Austria, Regno Unito, Ungheria, Russia, Georgia, Estonia, Lettonia, Lituania, Kirghizistan (1918), Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Svezia e Ucraina (1919), Usa, Slovacchia e Repubblica Ceca (1920), Azerbaigian (1921), Birmania (1922), Tagikistan e Turkmenistan (1924), Armenia (1928), Kazakistan e Mongolia (1924), Uruguay (1927), Ecuador e Romania (1929), Turchia (1930), Cile, Spagna e Sri Lanka (1931), Brasile, Maldive e Thailandia (1932), Cuba (1934), Filippina (1937), Bolivia, Bulgaria e Uzbekistan (1938) 

Nel 1944 succede in Francia, nel 1946 in Italia, nella neonata Corea del Nord e in Albania, l’anno dopo in Argentina, India, nel 1948 in Corea del Sud, nel 1949 in Cina e Costa Rica e via così, fino alla tardiva e inaspettata Svizzera dove il suffragio universale femminile arriva nel 1971 e ai fanalini di coda: Kuwait (2005), Emirati Arabi Uniti (2006) e Arabia Saudita (2015). Insomma, ad oggi il mondo dà voce a quasi tutte le donne, il che, purtroppo, non significa che tutti i cittadini (uomini inclusi) siano persone con uguali diritti.

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