Giulia Bevilacqua: “Il Contagio? Al cinema e nella vita”

Al cinema dal 28 settembre con Il Contagio, Giulia Bevilacqua ci racconta quello della Roma malata e quello della vita di tutti giorni, tra Roma e Milano, da un set all’altro, con qualche incursione social. 

Giulia Bevilacqua, nel cast de Il Contagio, il film diretto da Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, tratto dall’omonimo romanzo di Walter Siti (Rizzoli). © Kika Press

Quando Giulia Bevilacqua, seduta tra il pubblico, si è guardata sul grande schermo di Venezia 74, si è lasciata contagiare da Il contagio, il film che interpreta insieme ad Anna Foglietta, Vinicio Marchioni, Maurizio Tesei e Vincenzo Salemme. Lei, che attrice lo era già da bambina “quando invece di giocare, recitavo e mi facevo riprendere con la telecamera”, lei che “di nascosto mi sono iscritta alla Scuola Nazionale di Cinema” e lei che a “all’anteprima del film, a Roma, ero troppo emozionata e ho rinunciato”, a Venezia - dove ormai è un habitué - si è commossa per quello che aveva contribuito a costruire. Perché “se il teatro è come il sesso, carne, palpitazioni e sudore mentre il set è una storia d’amore, azione, tempi morti e consapevolezza di creare qualcosa che rimane”, allora Il Contagio è “una storia che doveva essere raccontata, dove ogni personaggio ha il diritto e il dovere di esserci perché ciascuno ha l’esigenza di dire qualcosa che tutti devono sapere. Qualcosa che, come recita il titolo, contagia chi lo guarda, nel bene e nel male”.


Da romana è stato difficile raccontare questa Roma contagiata?

“È stato un onore poterlo fare, ma è stato triste e difficile perché il film è la concentrazione del peggio di Roma, la mia città, che amo e odio fortissimamente. Racconta il contagio tra criminalità e borghesia, borgatari e potenti, il bisogno reciproco di riconoscersi per esistere, la mancanza di coscienza sociale e politica, l’assenza dei politici. Peggio: racconta chi ha tutto l'interesse a mantenere la città in questa situazione, soprattutto nelle periferie dove senza cultura né arte, ai romani si negano gli strumenti e la possibilità di evolversi e coltivare obiettivi più alti. Li si costringe a un contagio malsano e infinitamente triste. I film servono a chi li fa e a chi li guarda, e anche se questo non è un documentario, dipinge una realtà tristemente verosimile e attuale. Questo film contagia: chissà che qualcuno trovi gli anticorpi”.


Il film, però, racconta anche il contagio intimo, in una storia d’amore

“Quella tra Simona, il mio personaggio, e Mauro, uno dei criminali. Lei è entusiasta, ingenua, piena di voglia di rendersi utile, guarda il mondo con gli occhi dell’amore. Lui è l'opposto, scaltro e ipocrita. Contagiata da Mauro, Simona mette da parte il suo futuro fuori dalla periferia: è l’unica che ha studiato eppure rinuncia per stare accanto a lui, all'uomo che ama. Accetta le sue scelte sbagliate, addirittura le subisce, nel rispetto consapevole del suo ruolo di moglie. Tuttavia è uno dei pochi personaggi positivi: quando, nella seconda parte del film, Mauro compie la sua ascesa al potere (o discesa agli inferi) lei alza la testa e, alla fine, apre gli occhi e si riscatta. In questo caso il contagio ha creato gli anticorpi”.


Quanto ti fai contagiare dai ruoli che interpreti?

“In maniera continua e quotidiana. Questo è un lavoro che fa solo chi ha un amore e una passione per il gioco meraviglioso dell’entrare nella vita di altre persone, di farsi contagiare, per l'appunto. È una droga, è divertente, è terapeutico e catartico. Aiuta a capire i punti forti e deboli, ad avere maggior consapevolezza di sè. Dal pensare di non essere sexy all'interpretare una femme fatale per scoprire che posso usare anche quest’arma. Dall’interpretare ruoli di donne che hanno subito traumi e violenze a scoprire quel dolore, rappresentarlo per poi riuscire davvero a vedere quanto sono fortunata. È un privilegio: dovrebbero farlo tutti, noi siamo addirittura pagati per farlo!”.


Una lesbica incinta in È arrivata la felicità, un medico in carriera in Amore pensaci tu e ora una moglie remissiva ne Il Contagio: una monografia sulle donne di oggi?

“Sono molto felice di aver interpretato donne attuali, vere, che avevano bisogno di essere raccontate e di contagiare la società con la loro testimonianza. Portare nelle case degli italiani, in prima serata su RaiUno, la storia di una donna che ama un’altra donna, che non teme il pregiudizio, che fa coming out al mercato è una conquista contro il bigottismo, un contagio positivo. Così come raccontare una donna in carriera e madre di famiglia in preda alla paura di non essere all’altezza mi ha permesso di dar voce a tutte le donne che, nel costruirsi la propria indipendenza, si ritrovano schiave del dovere: essere brave non basta, bisogna essere la migliore”.


E tu a che punto sei? Come stai con te stessa?

“Io amo la precarietà, questo disequilibrio per cui un giorno sono in pace e mi sento realizzata e un altro inquieta e disadattata. Tendiamo all’equilibrio ma non ci arriviamo mai; d’altra parte la vita sarebbe noiosissima se fossimo risolti”.


Pronta per una famiglia?

“A questo punto della vita vorrei un figlio e a proposito vorrei far notare che sono anni che subisco la pressione della domanda ‘cosa aspetti a mettere su famiglia?’: ecco, ogni volta penso alle donne che vorrebbero dei figli ma non possono (o non vogliono) per i motivi più svariati. Anche se la donna di oggi ha fatto tante conquiste, ha maturato sicurezze, indipendenza e potere, la società si aspetta che, anzitutto, diventi una madre. E se non lo fa la guarda di sbieco. Spesso penso che dovremmo avere il coraggio di dare risposte più secche e spiazzanti”.


Un amore da pendolari: lui, Nicola Capodanno, a Milano, tu a Roma. Il vostro segreto?

“L’amore vero?! Ci siamo incontrati a una festa e ci siamo amati fin dal primo istante, ci siamo riconosciuti l’uno nell’altro, non mi era mai capitato prima nella vita e da allora il sentimento non è mai cambiato. Il fatto che viviamo in due città diverse è un impedimento 5 giorni su 7, però si è creato un equilibro instabile che funziona. Forse perché ci siamo conosciuti da adulti, ciascuno con la propria indipendenza e la sua buona dose di solitudine pregressa. Ognuno ha ancora i propri spazi e la cosa non ci spaventa. Non siamo gelosi, abbiamo una quotidianità diversa, non ci sentiamo cento volte al giorno (anche perché io sono molto fisica e odio stare al telefono), abbiamo voglia di vederci, ci cerchiamo e, per quanto possibile, ci contagiamo nel bene”.


Progetti per il futuro?

“Riposarmi, prendermi una vacanza che mi nego da troppi anni, viaggiare. Poi, dopo tutte queste donne attuali, mi piacerebbe molto interpretare un personaggio di un’altra epoca, imparare a muovermi come una donna dell’Ottocento con passi piccoli, lenti e cadenzati. Ma è tutta teoria: le storie ti contagiano nel bene e nel male”.


Il contagio più bello?

“Quando mi sono ritrovata nei panni di Rosa Petrini ne Il ritorno di Mia: un personaggio costruito da zero, una giornalista, una donna di altri tempi che si mascherava per ottenere uno scoop, che usava il suo fascino con malizia ed ironia”.


Il contagio più faticoso?

“Il ruolo di Paola, la sorella di Simonetta Cesaroni che ho interpretato ne Il delitto di via Poma. Per tanti motivi: perché all’epoca dei fatti di cronaca ero una ragazzina, abitavamo lì vicino e rimasi sconvolta. Perché Paola trovò il cadavere di Simonetta e io, che ho una sorella, recitando mi sono immaginata una tragedia simile. Perché Paola, all’epoca del film, era viva ed ero molto spaventata dall’idea che la mia recitazione potesse offenderla o turbarla”.


Il contagio social? Su Instagram sei amatissima!

“Mi diverte molto raccontarmi senza copione: l’idea di creare una linea di continuità con chi mi conosce, ma in fondo non sa chi sono io fuori dal set, mi permette di ricambiare un po’ dell’affetto che ricevo. Cerco di farlo senza prendermi troppo sul serio. Certo, a Venezia è uscito il mio ego ma come potevo evitarlo? Lì ti senti bellissima, conciata come sei da vera star! A parte qualche incursione così, la mia bacheca è infarcita di spezzoni di vita quotidiana: Nicola, mia sorella, le nipoti, gli amici, qualche festa, qualche piatto, qualche aperitivo, qualche selfie. Non m’interessa essere una diva misteriosa: contagiare è molto più divertente!”.

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