Eutanasia: la dolce morte in Svizzera, nell’attesa di una legge

Mentre le 6 proposte di legge sul fine vita giacciono in Parlamento, sempre più italiani (che se lo possono permettere) cercano la dolce morte in Svizzera. Ecco come funziona.

L'eutanasia in Svizzera prevede che il malato assuma da solo i farmaci supervsionato da personale medico. © Levente Gyori/123RF

Sono cinquanta ogni anno. Sono uomini e donne malati, esausti, spossati da una vita senza speranza. Cercano l’eutanasia e la trovano in Svizzera, dal momento che in Italia non è permessa e le sei proposte di legge in merito (di cui una di iniziativa popolare sottoscritta da 67mila cittadini) giacciono in Parlamento dal 2013. Il dibattito è stato avviato per la prima volta lo scorso 3 marzo ma al momento tutto è fermo e così i malati devono fare da soli. Ad aiutarli ci sono varie associazioni che forniscono loro informazioni legali e talvolta anche finanziarie. "Riceviamo dalle 70 alle 90 telefonate a settimana", spiega Emilio Coveri, presidente di Exit Italia, l’Associazione di Luca Coscioni. Le richieste che si approdano alla dolce morte in Svizzera, il paese che accoglie anche gli stranieri, sono una piccola parte. Quello che è certo, è che una volta ultimato il percorso, "nessuno cambia idea" precisa Coveri.

Eutanasia in Svizzera

Il primo passo è il contatto telefonico con le associazioni: la Lifecircle-Eternal Spirit di Basilea, la Ex international di Berna, la Dignitas di Forch (Zurigo) ed Exit, nella Svizzera italiana del Canton Ticino. Chiamano i diretti interessati o i parenti molto stretti. Chiedono informazioni e rispondono alle domande perché l’eutanasia ha confini precisi e la decisione è sottoposta a una commissione medica che valuta le cartelle cliniche e le dichiarazioni mediche, caso per caso. I presupposti per il suicidio assistito devono essere una grave malattia incurabile, irreversibile. Gravissime sofferenze fisiche o psichiche contribuiscono a determinare il verdetto. Che, comunque, non è definitivo: una volta accolta la richiesta i medici hanno l’obbligo (per legge) di provare a dissuadere il malato dal fare l’ultimo passo. In caso la volontà resti inalterata, allora il medico richiede il farmaco letale, un sonnifero molto potente mescolato a una sostanza che ferma il battito cardiaco e poi lo consegna al malato che lo assume da solo, affiancato da personale sanitario. 

Suicidio assistito: le testimonianze

"Li guardo sempre negli occhi, velati dalla tristezza perché devono lasciare le persone amate; ma non vedo paura, più che altro sincerità e determinazione. Poi, quando hanno in mano il bicchierino con il farmaco letale, s'illuminano come a dire: ce l'ho fatta". La voce è quella di Sandra Martino, 47 anni, cittadina svizzera e dipendente alla Dignitas che a Panorama ha raccontato gli ultimi istanti dei suoi assistiti. "Intellettuali, artisti, giudici e manager. Nomi noti, ma anche uomini della strada: gente che a volte non ha più risorse perché da anni combatte contro la malattia. E poi grandi anziani, sempre affetti da patologie inguaribili”. Persone come Susanna Zambruno Martignetti, la torinese che dopo 25 anni vissuti a lottare contro la Sclerosi Multipla ha deciso di andare a morire in Svizzera ma prima di raccontarlo a La Stampaper offrire la mia testimonianza estrema, anche se la politica capirà quello che dico solo tra 20 anni”. Perché dopo aver tentato il suicidio ha capito che doveva fare diversamente ma “l’Italia costringe chi è schiavo della malattia a scappare come un ladro se vuole farla finita. Lo costringe a spendere un mucchio di soldi - a me sono serviti 13 mila euro - perché le tasse che paghiamo qui non sono sufficienti a garantirci un’uscita di scena dignitosa”. Una scelta che per quelli come Susanna arriva perché si ha “più coraggio che rassegnazione. E tanto - aggiunge Sandra Martino -: decidere la data della propria morte non è per niente facile”. 

Eutanasia in Italia: proposte di legge

Depositata il 13 settembre 2013, la proposta di legge sull’eutanasia in Italia, sottoscritta da 67mila cittadini attraverso l'Associazione Luca Coscioni, nell’introduzione spiega che “ben oltre la metà degli italiani, secondo ogni rilevazione statistica, è a favore dell’eutanasia legale, per poter scegliere, in determinate condizioni, una morte opportuna invece che imposta nella sofferenza”. A proposito ricorda i casi di accanimento terapeutico (Eluana Englaro, Giovanni Nuvoli, Luca Coscioni e Piergiorgio Welby) e poi prevede, in maniera molto simile alle altre proposte depositate in Parlamento, che per richiedere l'eutanasia il malato debba essere maggiorenne, “affetto da una malattia produttiva di gravi sofferenze, inguaribile o con prognosi infausta inferiore a diciotto mesi” e che sia stato informatocongruamente e adeguatamente” circa il suo stato di salute e “di tutte le possibili alternative terapeutiche e prevedibili sviluppi clinici”. Prevede inoltre che i parenti entro il secondo grado e il coniuge siano informati e, previo consenso del malato, possano incontrare il medico per un colloquio. Infine, la proposta mette le mani avanti rispetto all’obiezione di coscienza: chi “non rispetta la volontà manifestata dai soggetti” di ricorrere all’eutanasia “è tenuto, in aggiunta ad ogni altra conseguenza penale o civile ravvisabile nei fatti, al risarcimento del danno, morale e materiale, provocato dal suo comportamento”. Nell’attesa che il Parlamento se ne occupi, la dolce morte resta un diritto per pochi esuli che se lo possono permettere. A tutti gli altri non restano che le preghiere e le sofferenze.

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