Intersex: dal mondo reale al cinema con "Arianna"

"Arianna", il film dell'esordiente Carlo Lavagna, racconta al cinema il dramma di una 19enne intersex che fa i conti con la sua controversa sessualità. Una condizione che, solo in Italia, colpisce 150 neonati ogni anno. 


Ondina Quadri è la protagonista di "Arianna" il film di Carlo Lavagna che racconta l'intersessualità.


Né maschio né femmina. Intersex, come Arianna (Ondina Quadri), la protagonista del film dell’esordiente Carlo Lavagna che si è cimentato al cinema nel racconto di un fenomeno tanto antico quanto sconosciuto ai più. Eppure, è un fenomeno che, solo in Italia, succede 150 volte l'anno. E quando capita, va tutto in tilt: in sala parto il medico non sa se dire “suo figlio” o “sua figlia” sta bene; papà e mamma non possono dargli un nome; l'anagrafe non ne parliamo. Il terzo sesso è roba da miti greci che bisticcia con codici fiscali e libretti sanitari. La prima domanda se la fa l'ostetrica: è un grande clitoride o un piccolo pene? E non è che l'inizio, perché il confine si frastaglia quando il problema emerge con gli anni, con i test. Perché accade che si nasca con ovaie e testicoli insieme, o con organi interni maschili ed esterni femminili. Con la sindrome di Morris, per esempio, il neonato è biologicamente maschio ma il suo corpo non sente gli ormoni androgeni. Risultato: all'apparenza è femmina ma all'appello mancano utero e ovaie. La mitologia li direbbe ermafroditi, la scienza li chiama interesex. Nel senso di sesso di mezzo, non sesso a metà. 

Lì per lì i medici sospendono il giudizio imbarazzati e impotenti, l'addetto registra il piccolo con una X al posto del nome e, in una settimana, si decide come intervenire chirurgicamente per normalizzare il normalizzabile. Di solito si femminilizza, come succede ad Arianna, perché chirurgicamente è più semplice, di certo non si concede il beneficio del dubbio oltre. “Fino a qualche anno fa, in caso di dsd, disordini della differenziazione sessuale, si dava il sesso a casaccio” spiega Roberto Lala, endocrinologo-pediatra all'ospedale Regina Margherita di Torino, dove un'équipe di medici di diverse discipline si è specializzata in materia. “I genitori non accettano l'indeterminatezza, figurarsi la società: l'operazione è inevitabile”. Certo è che l'attribuzione medica di un sesso al neonato con genitali ambigui è in via di rivalutazione. Il primo passo avanti è stato fatto anche grazie al Movimento Intersessuale nato nel 2006 che, oltre ad aver abolito nomenclature ottocentesche come "ermafrodito" o "pseudoermafrodito", ha rivendicato il diritto del diretto interessato a decidere per sé in età adolescenziale. “Ora - spiega Lala - si tende a interferire meno con il loro sviluppo, ritardando certe operazioni, come l'apertura della vagina, all'arrivo della pubertà e di un certo grado di consapevolezza”. 

Privilegio negato ad Arianna, normalizzata alla nascita che, a 19 anni si ritrova a fare i conti con la sua intersessualità. "Il film - ha raccontato il regista - è nato da una serie di sogni che feci diverso tempo fa, sogni ricorrenti in cui ero una donna molto più grande di me. La domanda sull'identità mi è rimasta dentro a lungo, perché si nasce in un modo oppure in un altro, e si è trasformata nel desiderio di indagare questo soggetto". Lavagna ha approfondito a lungo la conoscenza dell'argomento: "Ho vissuto per diversi anni negli USA, e lì ho conosciuto le prime associazioni di persone intersex, gruppi che si stavano formando in quegli anni. Ho anche incontrato molte persone in questa situazione, e Arianna nasce dalla fusione dei racconti di tutti loro". 

Un ruolo fondamentale, nella realtà tanto quanto nella pellicola, ce l’hanno i genitori: "Non sentivamo in fase di scrittura l'esigenza di criticarli: loro in fondo sono conformi ad un'idea che è a monte, che riguarda la società e cosa significa essere diversi. Una società che omologa e costringe - quasi involontariamente - tutti a uniformarsi". 

Perché è un fatto che, ad un certo punto, bisogna decidere tra il cromosoma Y o X e i genitori hanno un peso notevole. “Perché è così fondamentale sapere se sono maschio o femmina? Non lo so, ma lo è. Molto. Gli altri vogliono sapere che cosa sei” si domanda e si risponde la voce narrante di Alex e Alex (Ed. Giralangolo), il libro Alyssa Brugman, la giovane autrice australiana che ha scelto di raccontare la storia di un intersex ai ragazzi “perché se l'adolescenza è un periodo difficile, figurarsi in quel caso”. Alex e Alex è la storia di uno di loro. “Una di loro, una persona come loro”, corregge il tiro l’autrice. “Il problema di Alex sono i suoi genitori: gli hanno nascosto la verità crescendolo come un maschio e quando la scopre inizia una battaglia interiore e con la sua famiglia. Ho raccontato la storia di una persona, non di un maschio o di una femmina, ma di un essere umano che vive un punto di vista sconosciuto, emblema della diversità: i giovani devono imparare ad accogliere le differenze e smettere di darsi delle regole. Più regole ci diamo più persone rischiamo di escludere”.
 
Una deriva confermata anche dal dottor Lala: “Quasi sempre sono i genitori a insistere per un'operazione definitiva - spiega -. Gli intersex si sentono obbligati anche se sarebbero pronti ad accettare la sfumatura grigia, l'identità indefinita”. “E vivere - finisce la frase Marta, una di loro - secondo la logica dei fatti”. Ma è inevitabile: il rapporto che si crea in famiglia è molto più forte del normale. Perché c'è un segreto, perché i figli sono visti come malati ma tali non si sentono. La vera malattia non c’è. È un discorso di salute psichica e sociale.

Il professor Lala fa questo lavoro da trent'anni, ha visto e vissuto di tutto. Ogni tanto si sente Frankenstein, i dubbi lo perseguitano, i pazienti gli restano attaccati come edera per tutta la vita. C'è Chiara, ad esempio, che allo sport agonistico ha rinunciato. Giocava a pallavolo, era brava, molto brava. Era stata selezionata per la squadra nazionale, volava alto. “Mi chiamò il padre nel panico, non sapeva che fare - racconta -. Era l’epoca in cui si scopriva che molte atlete russe erano maschi. Il rischio è grande, ho risposto ai genitori. O si fa un percorso – a cui allora non eravamo ancora abituati – per raccontarle tutta la questione, oppure…”. 

Oggi Chiara vive all'estero con una compagna, lavora e ha una vita sessuale soddisfacente. L'operazione definitiva non è mai arrivata. Scrive a Lala: “Mancata mia madre non sentivo più l’obbligo di fare ciò che mi era stato destinato fin dalla nascita”. E ancora: “incominciai a dare ascolto alle mie sensazioni “socialmente scomode”. Decisi di dare valore a quello che ero e alla forma 'speciale' che sentivo di essere. Capii che nel mondo non esiste solo bianco o nero. E nonostante la società faccia fatica a comprendere, esistono centinaia di migliaia di sfumature di grigio. Io ero una di queste”

Eppure, almeno per la sapienza greca raccontata da Platone nei suoi Dialoghi di duemilacinquecento anni fa, in principio il terzo sesso era la perfezione. Uomo e donna fusi in un solo essere doppio, completo, fiero, forte e vigoroso: l'androgino, il figlio della Luna. L'arroganza era il suo unico e imperdonabile difetto: tentò la scalata all'Olimpo per combattere gli dei ma fallì e fu separato in due metà perfette, come una mela tagliata di netto nel piattino da frutta. Da allora ci cerchiamo inseguendo la nostalgia dell'unione. Ogni tanto, circa centocinquanta volte l'anno solo in Italia, accade ancora. La natura si dimentica l'ira di Zeus e mette al mondo né maschi né femmine. Persone

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